È terminato a Lima l’incontro dell’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation), l’insieme di 21 economie responsabili del 50 per cento del Pil mondiale. L’organo di cooperazione, nato nel 1989, si è trovato quest’anno a gestire l’elezione di Trump negli Stati uniti: un evento che ha finito per influenzare e non poco i lavori del summit.

Tra i tanti argomenti di discussione e le potenziali svolte tra i paesi che fanno parte dell’Apec grande attenzione era riservata alla Cina e a Obama, al suo ultimo appuntamento da presidente. Obama ha cercato di sottolineare la sua responsabilità di garante rispetto ai cambiamenti che potrebbero arrivare con Trump alla presidenza, in particolare con riferimento al Tpp, il trattato di libero commercio, alla questione climatica e alla potenziale battaglia protezionista degli Stati uniti.

Obama al riguardo è stato chiaro, affermando che «intendo rispettare l’incarico e dare al presidente eletto l’opportunità di far valere la sua impostazione ed i suoi argomenti senza che ci sia qualcuno che lo critica in ogni occasione», salvo poi specificare che si premunirà di intervenire qualora Trump andasse a ledere dei concetti chiavi delle passate amministrazioni Usa. Vedremo, nel frattempo chi prova ad approfittarne è la Cina. Pechino è guardinga e allo stesso tempo desiderosa di sfruttare l’opportunità. La vittoria di Trump, infatti, pone la Cina in una situazione particolare. Da un lato Xi Jinping, tanto nel suo discorso ufficiale, quanto nei bilaterali, ha tenuto a sottolineare un dato: benché foriera di nuove preoccupazioni, la globalizzazione non è in discussione.

Il peso cinese si è riscontrato nell’ambito delle conclusioni informali del vertice: tutti si sono detti concordi contro ogni forma di nuovo protezionismo. Il riferimento alle minacce di Trump è chiaro, come del resto è limpido l’approccio cinese. Pechino ha accettato da tempo le regole del gioco, norme dettate e decise da altri, e ora che è nel pieno della sua potenza economica e commerciale, non può accettare il ritorno ad un protezionismo capace di tarpare la sua economia desiderosa di innovazione. La Cina – del resto – ha anche le armi (leggi debito Usa) per consigliare a Trump una più accorta politica economica.

Per ora basti l’incontro bilaterale che si è svolto tra Xi Jinping e Obama: il presidente cinese ha specificato a quello americano di augurarsi una «placida transizione» tra le due amministrazioni. Come a dire, «niente scherzi», almeno per quanto riguarda gli scambi commerciali. Diverso, ovviamente, il discorso più generale. Il presidente cinese nel suo discorso di fronte ai paesi dell’Apec è stato straordinariamente chiaro: dal 2014 la Cina propone un trattato di libero scambio generale nell’area del Pacifico, il Free Trade Area of the Asia-Pacific (Ftaap). Si tratta di un accordo che al momento è sottoposto a studi di fattibilità ed è in grado di rimpiazzare al meglio il Tpp, dal quale la Cina è esclusa, nel caso in cui Trump rinunciasse a quel tipo di accordo commerciale.

La Cina è pronta a prendere alcune delle redini mondiali, anche se Xi Jinping al riguardo è stato chiaro: solo una cooperazione tra Cina e Stati uniti può assicurare al mondo una «global governance» in grado di «controllare» al meglio la globalizzazione e i suoi punti deboli, oscuri e capaci di rallentare la crescita comune. Allo stesso modo Pechino si è detta certa di continuare ad andare avanti sugli impegni in relazione al clima. Da registrare, infine, un incontro bilaterale tra Pechino e Tokyo: Abe e Xi hanno espresso la volontà di lavorare al miglioramento dei rapporti con i 45 anni della normalizzazione delle relazioni diplomatiche.