«È arrivata l’ora della nostra seconda e definitiva indipendenza. I nostri popoli non accetteranno più la tutela, l’ingerenza, né l’intervento esterno». Così, al settimo vertice delle Americhe, che si è concluso ieri a Panama, il presidente ecuadoriano Rafael Correa ha sintetizzato lo spirito che ha animato il summit.

Tutti i paesi, tranne Canada e Usa hanno respinto le sanzioni imposte dagli Usa al Venezuela e chiesto a Obama di annullare il decreto che le rende esecutive, dal 9 marzo: tutti, anche quelli lontani dalle politiche di uguaglianza perseguite dal governo Maduro. Nel suo intervento, Correa ha accusato gli Stati uniti di doppia morale: calpestano i diritti umani in casa propria e al contempo pretendono di dare lezioni in quelle altrui, ha detto. E nel suo discorso di risposta, il presidente Usa ha mostrato per un attimo lo stesso volto che suscitò speranze nel continente subito dopo la sua prima elezione: «In tema di diritti umani – ha ammesso – ci sono capitoli oscuri nella nostra storia».

Allo stesso tempo, però, ha ribadito che «proprio perché frutto di questa storia imperfetta», gli Usa vedono prima di altri le violazioni…Obama ha anche ripetuto di voler perseguire rapporti di rispetto con il continente, e ha riproposto lo stesso tono interlocutorio usato a ridosso del vertice per lasciare intendere una parziale marcia indietro sulle sanzioni al Venezuela.

Ora, Caracas non sembra più costituire una «minaccia eccezionale per la sicurezza degli Stati uniti», come aveva affermato Obama il 9 marzo. Dieci giorni dopo, Maduro ha organizzato una raccolta di firme in tutto il paese e all’estero con il proposito di raccoglierne 10 milioni. Al vertice ne ha portato 13.447.650. In solo cinque giorni, Cuba ne ha raccolto 3.907.567.

L’appoggio al Venezuela è stato però uno scoglio insormontabile per la pubblicazione di una dichiarazione comune, sottoscritta dai 35 partecipanti al vertice. Il presidente di Panama, Juan Carlos Varela ha detto che gli accordi raggiunti verranno comunicati agli organismi internazionali, ma non verranno resi pubblici al vertice. Varela ha coordinato i cinque punti della plenaria: pianificazione strategica all’interno della pianificazione pubblica; equità nell’educazione; attenzione speciale ai giovani in difficoltà; avvicinamento tra università e popolazione; sicurezza regionale. Ban Ki-moon ha trattato alcuni dei temi principali del vertice, pace, disarmo e rafforzamento dell’Onu. Ha anche espresso soddisfazione per la presenza al vertice di tutti e 35 i paesi delle Americhe, per la prima volt al completo con la riammissione di Cuba.

Il complicato disgelo tra gli Usa e l’Avana, perseguito dopo la riapertura dei colloqui bilaterali voluta da Obama, ha messo al centro il discorso del presidente Raul Castro data la situazione, non c’è stato un incontro ufficiale al vertice, solo una stretta di mano preceduta da una telefonata.

E non c’è stato neanche l’atteso annuncio di Obama a seguito della raccomandazione che il Dipartimento di Stato ha rivolto alla Casa bianca: «Togliere Cuba dalla lista nera dai paesi che finanziano il terrorismo», in cui è stata messa dal 1982. Obama ha lasciato intendere che se ne occuperà. In questo caso, il Congresso ha 45 giorni di tempo per decidere, e c’è da aspettarsi la solita reazione furibonda dei rappresentanti degli anti castristi nel Congresso.

Sobrio e diretto, il discorso di Castro ha illustrato, nei termini e e nei toni, il cammino per la «seconda indipendenza» compiuto da questa America Latina a cui Cuba ha fortemente contribuito». Ha ribadito la volontà del suo governo di proseguire «nell’attualizzazione del socialismo», ma anche la ferma intenzione di non voler gettare a mare le conquiste sociali finora conseguite, e tanto meno la propria autonomia politica.

Ha trattato tutti i temi in agenda con fermezza e senza un’ombra di demagogia. Ha ringraziato Obama per «il coraggio dimostrato nell’affrontare il Congresso» e nell’aprire un percorso verso la fine del blocco economico – «un’eredità ricevuta dai dieci presidenti che lo hanno preceduto». Prima di tutto, però, ha voluto ribadire che il Venezuela non è una minaccia: «Siamo contenti ha aggiunto che anche Obama lo abbia riconosciuto, ora si tratta di passare al dialogo», e ha reso omaggio al popolo venezuelano al suo governo e all’unione «civico militare».

Ha poi parlato della richiesta avanzata dall’Argentina sulle Malvinas, espresso sostegno all’Ecuador minacciato dalle multinazionali e salutato le richieste del popolo portoricano per la propria autodeterminazione e indipendenza, «come ha affermato decine di volte il comitato per la decolonizzazione delle Nazioni unite».

In una grande manifestazione di sostegno al Venezuela, gli indipendentisti portoricani hanno consegnato a Maduro una lettera di richiesta che Maduro ha promesso di portare al vertice. Castro ha anche appoggiato il processo di pace in Colombia in corso all’Avana e ha auspicato un continente libero dai grandi gruppi finanziari. Ha letto un brano di un documento Usa scritto dall’allora segretario di Stato Lester Mallory, il 6 aprile 1960: «La maggioranza dei cubani appoggia Castro – dice il memorandum .- e quindi l’unico modo per togliere l’appoggio è provocare insoddisfazione e penuria, debilitare la vita economica, privare cuba di denaro e mezzi così da ridurre i salari nominali e reali, provocare fame disperazione e abbattimento del governo…»

Un modella messo in campo dagli Usa nei confronti del Cile di Allende e che ha provocato il turpe ciclo delle dittature latino-americane degli anni 70 e 80 e che ora sembra riaffacciarsi nella situazione provocata in Venezuela.

Ma ora, ha aggiunto Castro, Cuba è a Panama per dire agli Usa che quel tempo è finito e che «questa nuova America ha inaugurato una tappa diversa della sua storia, ha conquistato il diritto di vivere in pace e svilupparsi seguendo il modello deciso dai suoi popoli».