Che c’è di nuovo al Lido? risuona nel vagone strapieno di festivalieri del treno destinazione Venezia. Cosa vuoi che ci sia sospira qualcuno in risposta. Già. Di nuovo infatti a un primo sguardo c’è poco e nulla, il Lido è sempre lo stesso, lento, pigro, vampiro, immutabile da quando era il luogo per eccellenza della «villeggiatura» e dei sospiri languidi di innamoramenti mortalmente proibiti. Daranno da mangiare i ristoranti dopo le 22, visto che le proiezioni finiscono tardi? Si saranno decisi a aprire finalmente dei punti ristoro (temporary) dove si mangi bene magari persino bio invece di riempire di salse incerte i soliti panini accendi gastrite? Avranno aperto dei posti confortevoli e carini dove hai voglia di sederti e chiacchierare? E via dicendo per rimanere alle piccole cose, non quelle sostanziali, che direte: ma cosa c’entrano con la Mostra?

Nulla con la selezione certo, molto con l’immagine invece perché per rimanere ai grandi festival europei se Berlino è una metropoli, Cannes è comunque una cittadina, qui al Lido invece si ha l’impressione che il tempo si sia fermato insieme al Palazzo che non c’è, e se questo prima aveva un fascino adesso forse ne ha meno. O almeno da sé non basta più. Oggi si comincia, Venezia 72 apre con Everest del regista islandese ma ormai hollywoodiano Baltasar Kormakur, la storia di una sfida su cui la Mostra gioca il suo primo passo, sempre importante specie se poi si considerano i successi plurioscarizzati dei due ultimi anni (Gravity, Birdman).E sono cominciate già le solite piccole polemiche, anche queste piuttosto immutabili. Il cinema italiano: ce ne è troppo, o troppo poco, e poi non vince mai o quasi. E il cinema americano, quello che non c’è più di quello che è presente.

Certo sarebbe bello avere Zemeckis o Spielberg come ai tempi dei Predatori dell’Arca perduta – direttore della Mostra era Carlo Lizzani omaggiato il 3 con il film a lui dedicato di Cristina Torelli, Roberto Torelli, Paolo Luciani – ma sono passati più di trent’anni e il mercato globale è un altro. Le major non hanno bisogno dei festival europei specie se le date di uscita in Europa sono lontane da quelle dei festival (Cannes compreso), sono nate nuove realtà – The Walk di Zemeckis andrà al New York Film Festival, qui esce il 22 (faranno un’anteprima a Roma? Chissà) e la prima veneziana alla distribuzione probabilmente costava troppo rispetto alla sua funzionalità. Il punto è che bisognerebbe interrogarsi sull’intero sistema cinematografico (e di politica culturale) del nostro Paese, di cui la Mostra è parte, così come appartiene a quel mercato globale che appunto ha cambiato le sue regole. In risposta la selezione veneziana ha rischiato scommettendo su molte opere prima, una strada diversa e possibile, tutta da verificare.

Un’ultima cosa: nonostante le lamentele quel treno era pieno perché poi a Venezia non si rinuncia, anche per pochi giorni, passerella obbligata per tutto quanto ruota nel bene e nel male intorno al cinema in Italia.

uona Mostra.