L’anarchismo è per sua natura non dogmatico. In Anarchist Studies. Una critica degli assiomi culturali (elèuthera, pp.143, euro 13) Salvo Vaccaro non ha nessuna difficoltà ad ammettere che anche la tradizione anarchica ha bisogno di una «dialettica»: molte delle sue categorie subiscono infatti l’usura del tempo. Meglio allora parlare di «anarchismi», vari e diversi tra di loro. Per gli anarchici, «la libertà non è mai individuale bensì singolare plurale, non è una qualità etica dell’individuo bensì uno spazio impersonale condiviso con l’altro».

Della dialettica dell’anarchismo fa parte anche la rinuncia all’idea mistica di una società purificata e pacificata da una rivoluzione definitiva. La temporalizzazione della modernità fa leva sul bisogno umano di novità, di futuro, di progettualità. E questo sia sul versante del potere, che si presenta come sempre rinnovato, sia su quello della rivoluzione che offre un nuovo inizio al tempo. In ogni caso, «il dominio del tempo, nei suoi aspetti simbolici e immaginari, rappresenta la vocazione intima dell’autorità».

Nonostante il peso che le strutture del controllo e del dominio esercitano sul presente, «segni libertari si intravedono dappertutto, giocati e triturati da più parti e in più luoghi». Di tali segni fa parte l’esigenza di opporsi agli strumenti della trasparenza coatta, che nei social network diventano forme di trasparenza persino reclamata e in ogni caso accettata, con una ingenuità funzionale a chi comanda. È evidente, infatti, che «l’eliminazione di ogni barriera di opacità è sempre stato il sogno di uno guardo totalizzante che declina la cattura nervosa dei terminali sensoriali umani attraverso l’inondazione di luce secondo un’iniezione di tecnologie sorveglianti che raggiungono l’apice dell’oscenità: rendere tutto visibile senza reciprocità di visione».

Segno libertario è anche lo scetticismo verso una rappresentanza che diventa delega impotente, rinuncia alla visibilità e alla voce del delegante, diventa dispositivo che «addomestica i diversi modi in cui può dirsi e rendersi visibile l’essere confinandolo in una gabbia d’acciaio».

Segno libertario è il rifiuto dell’Uno a favore del molteplice, il rifiuto dell’identità a favore della differenza, il rifiuto della sovranità a favore della moltitudine. È anche questo che fa la fecondità del pensiero spinoziano, volto sempre «a salvaguardare il carattere irriducibilmente plurale della moltitudine, destituendo il dispositivo della rappresentanza dalla potenza produttiva di unità politica che, nel filosofo olandese, viene scomposta e ricomposta di continuo secondo una ragione sperimentale aperta».

Attraverso tali segni e queste opzioni, il dispositivo anarchico è sempre vivo e aiuta a comprendere in modo radicale – e non soltanto tattico – processi contemporanei quali «la finanziarizzazione dell’economia produttiva e la precarizzazione della posizione soggettiva entro i processi produttivi», la «formazione di professionalità immediatamente spendibili su un mercato del lavoro, che tuttavia è alieno da recepire in massa nuove figure in quanto, almeno in questa parte del pianeta iper-industrializzato, la segmentazione globale del processo produttivo, già surclassato dalla produzione di ricchezza monetaria a mezzo di denaro liquido (cioè l’egemonia della dimensione finanziaria immateriale e virtuale su quella materiale), rende strutturale la inoccupazione di massa».
La «critica degli assiomi culturali» del presente diventa in questo modo una delle condizioni stesse della trasformazione sociale.