Torna il metodo Videla in Argentina? Sono in molti a chiederselo dopo la brutale repressione della polizia nello stato del Jujuy. Mayra Mendoza, una deputata del Frente para la Victoria (Fpv) è stata presa per il collo e picchiata da un poliziotto, mentre cercava di entrare nell’aula giudiziaria in cui si sta svolgendo il processo alla parlamentare indigena Milagro Sala.

Al resto dei manifestanti – tra i quali anche l’ex ministro del lavoro, Carlos Tomada, uomini politici e sindacalisti -, non è stato riservato un trattamento migliore. La deputata ha raccontato alla stampa che la situazione è precipitata quando un poliziotto ha iniziato a “palpeggiare una compagna”, e Horacio Pietragalla, segretario ai Diritti umani a Santa Cruz, ha preso le sue difese. Da quel momento, è salita la tensione tra i poliziotti che cercavano di impedire ai manifestanti di avvicinarsi al tribunale e i deputati che cercavano di mediare. Sono partite cariche e tentativi di arresto.

“Ho detto che ero una parlamentare, ma non gli è importato niente. Mi hanno attaccato, mi hanno preso per il collo e non riuscivo più a respirare”, ha dichiarato Mendoza. “E’ stato un attacco selvaggio, una prova d’orchestra di quel che può accadere a livello nazionale”, ha aggiunto Tomada, accusando il governatore del Jujuy, Gerardo Morales – sodale del presidente neoliberista Mauricio Macri – di moltiplicare gli episodi antidemocratici nella provincia. Le cariche hanno provocato 12 feriti – 9 manifestanti e tre poliziotti – e diversi arresti, tra i quali quello di un consigliere regionale.

Morales è il grande accusatore di Milagro Sala, in carcere dall’inizio di gennaio per aver guidato una protesta delle cooperative insieme alla formazione politica di cui fa parte, la Tupac Amaru. Le accuse contro di lei sono sette, una delle quali risale al 2009, quando Gerardo Morales era senatore e riguarda il lancio di uova che Milagro avrebbe organizzato ai suoi danni. La deputata – eletta al Parlasur alle elezioni del 10 dicembre 2015 – è stata accusata inizialmente di aver “istigato alla rivolta”, ma il 16 gennaio è arrivato un altro mandato di cattura per presunta estorsione e deviazione di fondi pubblici. Per lei il Pubblico ministero ha chiesto una condanna a 8 anni. Se anche Milagro venisse assolta dovrebbe comunque rimanere in carcere per altri capi d’imputazione. La sentenza dovrebbe arrivare il 28 dicembre.

In difesa della parlamentare sono scesi in campo diversi organismi internazionali, dall’Osa all’Onu ad Amnesty International, che si sono rivolti direttamente a Macri, ma l’imprenditore è stato irremovibile. E si deve anche alla pressione internazionale e al tentativo contenere la patata bollente all’interno della giurisdizione nazionale la decisione della II Corte della Camara Federal de Casacion di accettare il ricorso straordinario presentato mercoledì dai difensori di Milagro Sala. Il caso è adesso nelle mani della Corte suprema.

Milagro e la Tupac Amaru hanno utilizzato i finanziamenti erogati dall’ex presidente Cristina Kirchner per costruire un vasto piano di case popolari portando benefici, lavoro e partecipazione politica alle popolazioni native, da sempre oggetto di razzismo. Un progetto evidentemente pericoloso, anche data la vicinanza della regione alla Bolivia di Evo Morales, dove gli indigeni governano. “Siamo con te, Milagro Sala, l’ingiustizia che subisci sarà la bandiera di lotta del popolo argentino. Una dirigente prigioniera è una umanità mutilata”, ha scritto Morales in twitter.

E mentre continuano le mobilitazioni per chiedere “festività senza prigionieri politici”, le donne – impegnate nella campagna per lo sciopero globale dell’8 marzo – sono in prima fila nella protesta contro la repressione e il maschilismo. Il 14 dicembre, era stata malmenata dalla polizia di Macri anche la ministra degli Esteri venezuelana, Delcy Rodriguez. La ministra cercava di partecipare a una riunione del Mercosur, da cui Argentina, Brasile e Paraguay (paesi governati dalle destre) cercano di escludere il Venezuela. Uno scandaloso caso diplomatico che si aggiunge all’arroganza e alla prevaricazione della “Triplice alleanza” nel Mercosur, di cui però, non si è avuta traccia sui media europei.

Per oggi, il collettivo Ni Una Menos, protagonista del grande sciopero globale contro i femminicidi, ha invitato le donne a esporre un nastro o un drappo nero alle finestre, sulla bici o dovunque possa essere visibile, e a metterlo al polso o alla caviglia. “Dove c’è un nastro nero, sapremo che lì c’è una donna su cui possiamo contare se c’è bisogno di aiuto” hanno detto le femministe, ricordando che le festività sono anche i momenti in cui le donne sono più esposte alle violenze domestiche. Un’iniziativa che mira a ricostruire le relazioni sociali tra donne scalzando lo stereotipo dei media che le vorrebbe “in perenne competizione fra loro”.

La scrittrice Virginia Giannoni, militante del collettivo Ni Una Menos, ha ricordato a Pagina/12: “La rottura delle relazioni sociali tra donne, unita alla famiglia come unico destino e la confinamento nello spazio domestico, non sono destini naturali, né modi di essere, né scelte libere. Sono state politiche finalizzate all’atomizzazione del sociale in unità famigliari chiuse per ordinare i corpi al servizio del capitalismo. Luoghi in cui le donne dovrebbero contendersi l’attenzione degli uomini competendo per cucinare meglio e per crescere figli maschi come esempi di libertà e autonomia. Da quei luoghi di potere si sprigiona la crudeltà contro i nostri corpi e le nostre emozioni che oggi vediamo”. Un nastro nero, quindi, per riconoscersi e farsi riconoscere e organizzare insieme “azioni e politiche vitali”.