Il magistrato statunitense, Thomas Griesa, ha emesso la sua quinta decisione sfavorevole all’Argentina e nell’interesse dei cosiddetti fondi avvoltoi: ovvero quei possessori di titoli che hanno speculato sul tracollo del 2001 e che pretendono il rimborso del debito al 100% e con gli interessi. Il 93% dei creditori ha invece accettato il negoziato proposto a diverse riprese dai governi Kirchner (nel 2005 e nel 2010).

Il 26 giugno, Buenos Aires ha inviato il montante per un’altra rata, ma il denaro resta bloccato nelle banche di New York. Il giudice Griesa, che ha ripetutamente accolto le richieste dei fondi avvoltoi, impedisce che arrivi ai suoi legittimi destinatari finché il governo Kirchner non corrisponderà agli speculatori quanto domandano. Il governo argentino ribadisce la volontà di pagare ma in base a criteri «giusti, equi, legali e sostenibili». Il giudice ha respinto però per la quinta volta la proposta, sostenendo che «occorre continuare il negoziato. Le parti devono riunirsi fino a trovare un accordo». Per questo ha nominato un mediatore, Daniel Pollack, che incontrerà nuovamente oggi gli avvocati e una rappresentanza di alto livello del governo argentino.

Il problema è che i termini per il pagamento, decisi dal giudice e praticamente confermati da una sentenza della Corte suprema che ha respinto il ricorso argentino, scadono a fine mese. Difficile, con questi presupposti, ipotizzare un accordo. L’avvocato di Nml Elliott, il fondo del miliardario Paul Singer, Robert Cohen, è arrivato all’udienza accompagnato da Jay Newman, uno dei possessori dei fondi avvoltoi il quale, 15 giorni fa, si era detto disponibile a una mediazione con la controparte. E però, la settimana scorsa, lo stesso fondo Elliott ha ricorso ai tribunali di San Frfancisco per reclamare un eventuale embargo alla petrolifera nordamericana Chevron, socia della compagnia rinazionalizzata Ypf nel grande progetto estrattivo nella regione argentina di Vaca Muerta.

Cristina Kirchner ha portato la questione al vertice internazionale dei Brics che si è svolto in Brasile. In quell’occasione, i presidenti delle economie emergenti (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) hanno incontrato i paesi latinoamericani e stretto accordi per una nuova architettura finanziaria: con l’obiettivo di sottrarsi ai ricatti del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale e nella prospettiva di coniare una moneta comune. Fra le decisioni prese, vi è l’istituzione di una banca per lo sviluppo e di un fondo di riserve condiviso per i paesi in situazioni simili a quella dell’Argentina.