Deliziosa Arisa. Pare un biscottino. Morbida e affabile. Femminile al massimo e come tale volubile, un arcobaleno emotivo che una volta giratosi verso il lato oscuro cede al desiderio di mordere, se ce ne fosse il bisogno. A Sanremo Arisa non ha mai rinunciato e mai rinuncerà «non me lo perderei per nulla al mondo. Sanremo rappresenta l’unione tra la musica tradizionale italiana e il pubblico. Per gli addetti ai lavori è un po’ come i mondiali di calcio».

Guardando il cielo è il suo brano al festival e dà il titolo anche al suo nuovo album. È «una canzone medicamentosa. Lavorarci sopra è stato per me motivo di ristoro e di speranza. E la speranza alleggerisce, nei momenti difficili». È il giusto apripista per un disco che la rappresenta in pieno per la persona che si sente in questo momento. Una giovane donna che, neanche troppo lentamente, si è trasformata da piccolo anatroccolo a cigno guardato e desiderato. Tutto in lei si è evoluto in questi anni, senza saltare scandali e critiche, soprattutto da tubo catodico «se dovessi tornare a fare televisione mi piacerebbe rivolgermi alle persone comuni. Oppure ai bambini».

Resta una ragazza di campagna Arisa, anche se «Milano è casa mia, ormai. E mi piace viverla, soprattutto di giorno. Sto molto in casa, esco poco. Forse la potrei lasciare per il mare…se questo disco dovesse vendere bene mi piacerebbe comprare la casa di Lucio (Dalla) a Catania. Sarebbe un sogno…vicino a Battiato…» C’è tanto amore in questo album «che non è solo quello sotto le lenzuola». Amore per la natura, riscoperta nel valore del silenzio e delle amicizie di una volta, tra i boschi «per i quali ho passeggiato una volta tornata in Basilicata».

Amore per la terra e soprattutto per gli esseri umani «stiamo morendo a causa della nostra negligenza. Ci stiamo ammalando sempre di più. Eppure continuiamo con l’inquinamento e la cattiva gestione dei rifiuti e mille altre cose che potremmo gestire meglio se ognuno facesse semplicemente il suo. Se solo pensassimo ai nostri figli». Lei, tutto quello che riesce, lo fa. Va in bicicletta, raccatta per strada oggetti non biodegradabili e se ne accolla lo smaltimento, mangia bene «in casa, perché è più buono, salutare ed economico» meglio ancora se a chilometro zero. Parla di un quotidiano che non è frutto di politica o cose del genere «non me ne frega niente. Semplicemente come tanti giovani della mia età sto cercando di crearmi un mio personale senso civico. Faccio il mio, mi impegno. L’arte e la musica possono creare un senso critico. Con me ha funzionato. Quando ho ascoltato Lorenzo 1994 ho capito molte cose. C’è una frase in particolare che dice: cerca di essere uomo prima di essere gente. Quel disco non mi lascia mai».

Prega «è stata mia nonna a insegnarmi come si fa. Ci si rivolge a Dio perché si è imparato così. Basta guardare il cielo per percepire il miracolo delle energie di questo universo di cui tutti facciamo parte. La musica ha questo potere rigenerante per me. Spesso, cantando anche solo un ritornello, è sparito il malessere che in quel momento provavo». È felice di interpretare Cuore di Rita Pavone «è proprio nelle mie corde, la canticchio spesso. È una canzone moderna, eterna. E anche il concetto del parlare col proprio cuore…a me capita sempre, io mi confido con il mio cuore».