aggiornamento delle 13.30 di domenica 11 dicembre 2016

Alle 13.30 Paolo Gentiloni è il presidente incaricato. Prime dichiarazioni al Quirinale: “Renzi ha rifiutato il reincarico. La sua coerenza merita rispetto. Ci muoveremo all’interno della maggioranza uscente con un governo nella pienezza dei suoi poteri. Conto di riferire al presidente della Repubblica il prima possibile”.

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Finite le consultazioni Sergio Mattarella si rivolge ai giornalisti e pesa le parole. Dice che farà in fretta: «Nelle prossime ore valuterò e prenderò le iniziative necessarie per la soluzione della crisi di governo». Significa che oggi stesso, salvo quasi impossibili sorprese, Paolo Gentiloni riceverà formalmente quell’incarico di cui era già certo da venerdì sera e poi si procederà a tappe forzate. Lunedì il giuramento. Entro giovedì la fiducia. Sarà «un governo nella pienezza delle sue funzioni», scandisce il capo dello Stato affossando così il ricatto renziano che voleva una data di scadenza a breve. Pretesa impossibile: «Vi sono di fronte a noi adempimenti, impegni, scadenze di carattere interno, europeo e internazionale».

Proprio perché il nuovo governo non è affatto destinato a restare in vita poche settimane e dovrà anzi affrontare una fase a dir poco delicata, nelle ultime 48 ore Mattarella ha cercato in tutti i modi di allargarne il sostegno parlamentare, pur consapevole di non poter arrivare a nessuna «larga intesa». In parte ha raggiunto l’obiettivo: certamente saranno nella maggioranza i verdiniani di Ala, e sapremo presto quale sarà il loro prezzo valutato in sottosegretariati sonanti. E’ possibile che anche dai gruppi misti e forse persino dalla sinistra arrivi qualche voto in più, in ordine sparso.

 

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L’uomo del Colle non ha tralasciato il capitolo più delicato, la legge elettorale, e su quel fronte non è arretrato di un millimetro: «È emersa in questi incontri come prioritaria un’esigenza generale di armonizzazione delle due leggi per l’elezione di Camera e Senato, condizione indispensabile per procedere allo svolgimento di elezioni». È un No definitivo alle pressioni del Pd, che peraltro aveva già rinunciato alla lotta.

L’incontro con la delegazione composta dal vicesegretario Guerini e dai capigruppo Zanda e Rosato è durato pochissimo e ufficialmente si è concluso con il partito di maggioranza relativa che garantiva «il sostegno del Pd alla soluzione che il Presidente riterrà più opportuna». Sceneggiata pura. Il nome del premier è stato indicato dal Pd. Renzi ha stilato di persona la lista dei ministri. È la mediazione raggiunta tra Colle e Nazareno: il presidente tiene duro sulla consistenza del governo e sulla sua sopravvivenza sino alla definizione di una vera legge elettorale. In cambio Renzi conquista il diritto a definire nei particolari il medesimo governo.

Certo, Mattarella avrebbe preferito che l’ex premier si muovesse con una certa classe, in modo meno sguaiato, senza allestire una sua sala di consultazioni a palazzo Chigi per segnalare che le decisioni sul governo venivano prese lì. Alfano, dopo l’incontro con la delegazione Ncd, ha provato a metterci una pezza ma con l’abituale goffaggine. Per riaffermare che la decisione, almeno formalmente, spettava al capo dello Stato ha messo in campo una già tramontata ipotesi di Renzi-bis destando fibrillazioni indebite. Poi ha specificato che un governo «non può avere date di scadenza come lo yogurt», dimenticando che proprio lui era stato il primo a parlare di voto già in febbraio.

 

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La legge elettorale dalla definizione della quale dipenderà la longevità del governo non potrà essere decisa a maggioranza, come fu per l’Italicum imposto con la fiducia. Anche su questo Mattarella è stato chiaro: dovrà essere condivisa. Attraverso questa finestra Berlusconi, che ha guidato la delegazione azzurra, entra in gioco.

Le voci su un’ostilità dell’ex Cav. all’incarico per Gentiloni erano infondate. A Mattarella Berlusconi ha detto le stesse cose che ha poi ripetuto di fronte ai microfoni: «Fi non è disponibile a larghe intese. Tocca al Pd esprimere e sostenere un governo per la parte restante della legislatura». Ma al tavolo della legge elettorale Fi ha tutte le intenzioni di accomodarsi e altrettanto farà Sinistra italiana, che ha negato ogni possibilità di appoggio a Gentiloniribadendo l’esigenza di una vera discontinuità ma con Mattarella ha discusso a lungo proprio di legge elettorale.

La maggioranza più Fi e Si è uno schieramento abbastanza vasto per consentire il varo di una legge elettorale «condivisa», ma l’assenza di una forza essenziale come M5S si farebbe sentire. Ieri i pentastellati hanno ribadito: «Elezioni subito, con Italicum rimaneggiato dalla Corte». Sin qui è repertorio.

Bisognerà vedere se, quando la partita della legge elettorale inizierà davvero, Grillo deciderà di disertare la trattativa o preferirà farsi sentire.
Quanto durerà il governo «senza data di scadenza» è difficile prevederlo. Ma che si riesca a votare a giugno dovendo mettere d’accordo Pd, Ncd, Fi e Si, con una bomba economico-finanziaria sotto la nuova scrivania di Paolo Gentiloni, non è affatto certo.