Mobilitati. L’Abruzzo sta cercando di resistere all’assalto delle trivelle. E, prima ancora, al governo Renzi che sta cedendo alle multinazionali del petrolio il futuro dell’Adriatico. Negli ultimi due mesi sono parecchi i regali fatti ai signori del greggio a scapito dei cittadini.

Il 15 aprile scorso i ministri dell’Ambiente e dei Beni culturali, nonostante opposizioni e ricorsi, hanno firmato il parere di compatibilità ambientale -Valutazione di impatto ambientale e Autorizzazione integrata ambientale – per quattro nuovi pozzi della Edison da aggiungere alla piattaforma Rospo Mare, attiva ad 11 miglia dal litorale tra Vasto (Chieti) e Termoli. La Commissione Via (Valutazione impatto ambientale) a marzo ha dato il nulla osta alle piattaforme Elsa2, della società Petroceltic, un pozzo esplorativo a 7 chilometri dalla spiaggia Lido Riccio ad Ortona (Chieti), e Ombrina Mare, della Rockhopper, intenzionata a realizzare 4-6 pozzi di estrazione a 6 chilometri dalla costa di fronte a San Vito Chietino. «Praticamente – afferma Augusto De Sanctis, del Forum Acqua – è coperto tutto il litorale della provincia di Chieti, incredibilmente bersagliata, e anche parte di quello del Molise».

Si prospetta un mare, quello di fronte alla famosa Costa dei Trabocchi, orlato di trivelle. Questo mentre si lavora all’istituzione, nella stessa zona, del Parco nazionale, per il quale è stata appena conclusa un’ipotesi di perimetrazione. «Insomma – commenta Fabrizia Arduini, del Wwf – si rischia di far nascere un’area protetta costellata di buchi e perforazioni. E’ un’idea di tutela ambientale alquanto astrusa ed oscura».

«I pozzi di Edison – riprende De Sanctis – dovrebbero funzionare per ben 25 anni, come quelli di Ombrina. Tra l’altro le operazioni di estrazione avverrebbero a controllo remoto, senza creare dunque un solo posto di lavoro e a beneficio esclusivo della Edison, coinvolta nelle bonifiche delle megadiscariche di veleni a Bussi sul Tirino (Pe). Bonifiche che restano al palo grazie ai continui e vittoriosi ricorsi nei tribunali da parte dell’azienda».

Questi progetti furono bloccati nel 2010 dal decreto Prestigiacomo che vietò nuovi insediamenti entro le 12 miglia. Sono stati rilanciati grazie al decreto Passera del governo Monti che, nel 2012, ha riesumato i procedimenti in itinere. «Numerose le criticità procedurali e di contenuto che si possono rilevare – fanno presente gli ecologisti -. Ad esempio non viene considerato l’effetto cumulo tra i vari progetti che, tra l’altro, non sono stati assoggettati a Valutazione ambientale Strategica (Vas), con il paradosso che il ministero dell’Ambiente la richiede al governo croato per le nuove concessioni in Adriatico e poi non applica la procedura a quelle di propria competenza».

Il 13 aprile di due anni fa in 40mila sono scesi in strada, a Pescara, a protestare contro la piattaforma Ombrina e l’unità galleggiante (o nave) di stoccaggio, trattamento e scarico ad essa collegata. Contro l’impatto devastante che avrebbe, con gli scarichi in acqua e le emissioni in atmosfera, compreso l’incenerimento a fiamma costante, 24 ore su 24, dei rifiuti di scarto prodotti: la stima è di 80.000 chilogrammi al giorno, inclusi materiali speciali e pericolosi.

Il 23 maggio prossimo a Lanciano (Chieti) si terrà una nuova manifestazione, a carattere nazionale. Per urlare no allo scempio di una realtà che, da tempo immemore e con fiatone e a fatica, sta tentando di ritagliarsi un proprio posto nel settore turistico. E che è decisa, in piazza e con la carta bollata, a difendere le proprie produzioni agroalimentari, le coltivazioni agricole – in particolare quei vigneti che significano occupazione e reddito – e il proprio diritto alla salute.