Il mese di luglio è tradizionalmente quello dei festival estivi, di qualunque arte o disciplina «dal vivo». È stato così anche quest’anno, e sarebbe troppo facile lamentarsi perché il livello di quasi tutte le manifestazioni ha rispecchiato al ribasso il livello culturale del paese e dei suoi politici, che necessariamente ne dispongono e dispensano le risorse. Sono cose ovvie, e bisognerebbe analizzare allora tutto il gioco dei finanziamenti, delle scelte e delle responsabilità. Sarebbe lungo e risaputo, e il manifesto se ne occupa spesso. Più curioso, e inaspettato, è osservare un esempio, sorprendente e non convenzionale, che promette per il futuro sorprese, come quelle che ha lasciato intravvedere in questi giorni.

È il caso di Asti, che è stata per diversi anni, con il suo Astiteatro, sede di un laboratorio avanzato sullo spettacolo, dalla prospettiva della drammaturgia. Poi il succedersi delle giunte e degli schieramenti aveva fatto decadere quella avanzata postazione di ricerca (col picco oscurantista di una amministrazione a dominanza leghista), e un tran tran degli ultimi anni che aveva trasformato la manifestazione in una rassegna a uso soprattutto locale. L’attuale giunta (di centrosinistra) deve aver sentito il peso di aver fatto spegnere quell’interesse storico per il nuovo, e ha preso una iniziativa inusuale. Ha scelto un interlocutore privilegiato in Pippo Delbono, l’ha nominato dal prossimo anno responsabile artistico della manifestazione, e gli ha chiesto di dare già quest’estate un saggio, o un segnale di ricerca, di quella che potrà essere in futuro.

Così l’artista ligure, pur avendo a disposizione un budget molto limitato, ha chiesto personalmente a una serie di persone amiche di venire gratuitamente ad Asti. Persone che non sono solo artisti o interpreti di fama internazionale, ma che a vario titolo e modo scavano e praticano cultura in senso lato, dove, oltre che linguaggi diversi dal teatro alla danza alla musica al cinema, ci sono proprio prospettive di osservazione diversa, dalla scrittura alla politica tout court, mettendo al centro quindi non solo e non tanto i contenuti dell’arte, ma anche le situazioni critiche cui quell’arte si applica.

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Per fare un esempio di bruciante attualità, sull’escalation bellica che pare inarrestabile tra Israele e Palestina, il regista cinematografico israeliano Amos Gitai ha proiettato il suo recentissimo Ana Arabia, ricostruzione, attraverso interviste e sopralluoghi, della vita di una donna scampata ad Auschwitz ma che ha deciso di sposarsi con un palestinese, col quale ha avuto 5 figli e quindi 25 nipoti, con tutte le difficoltà immaginabili, ma che la rendono oggi icona di una tragedia che pare insolubile. E proprio di possibili quanto ardue soluzioni il regista ha parlato col pubblico dopo la proiezione, e nella sede della biblioteca Astense con il parlamentare italiano Gennaro Migliore.

Questo è solo un esempio dello spirito che ha animato, a fianco alla vitalità dei contenuti, Io con gli altri, titolo scelto da Delbono per un primo flash di quello che il festival futuro potrà essere. E gli altri erano tutti artisti significativi, e di grande qualità. Irène Jacob è attrice di culto di film di autori importanti, da Antonioni a Kieslowski ad Anghelopoulos: del rapporto con loro ha parlato, raccontando la formazione da loro ricevuta, e della creatività di un’attrice rispetto al personaggio. Adorabile e intelligente, ha sorpreso molti chiudendo l’intera manifestazione con un vero concerto: canzoni dolci, struggenti e maliziose della più classica tradizione francese, accompagnata dal fratello chitarrista e da uno strepitoso percussionista peruviano.

Un’altra primadonna della tre giorni è stata Vladimir Luxuria, acuta narratrice dell’omofobia che Putin vorrebbe imporre alla Russia intera, raccontata in prima persona con le disavventure subite a Soci durante gli ultimi giochi olimpici invernali. L’incontro con lei è servito da introduzione a un film durissimo sulla situazione gay in quel paese: Campaign of hate: Russia and Gay propaganda. Come, sempre attraverso il cinema, è stata la gola ad emergere tra le «debolezze» d’artista: con Resistenza naturale il regista Jonathan Nossiter parla nel suo ultimo film delle scelte controcorrente di quattro italiani che si sono dedicati alla viticultura, magari dopo essersi laureati alla Bocconi.

Usando invece la danza, ha reso un omaggio a Pina Bausch Ditta Miranda Jasifi, la fantastica danzatrice indonesiana che con lei lavorò a lungo, e che qui la evoca con sentimento, anche se le musiche contemporanee composte da Luca D’Alberto sono molto lontane dal fascino erotico e suadente delle canzoni che Pina usava.

Ma in ambito spettacolare sono state altre le presenze che hanno dato cornice a questa fitto intreccio di piacere e di intelligenza, unificati dal senso forte che i due elementi si scambiano.

In apertura la performer spagnola Angelica Liddell ha presentato, appositamente per Asti, una sua nuova crezione, un concerto di canzoni pop di area latina, titolo Gloria in excelsis, dove era il suo corpo (e la sua biancheria) a ballare, dando il tempo alla voce. E poi ovviamente c’è stato il padrone di casa, che non si è lesinato anche come conduttore e traduttore simultaneo per tutti. Ma che dopo aver ripescato l’episodio beckettiano di Barboni di cui si parla nella pagina, si è tuffato anima e corpo dentro la scrittura di Bernard Marie Koltès, presentando un secondo studio dalla Notte.

Una tirata nervosa e febbrile, un percorso da rally dei sentimenti e delle situazioni, una assunzione in prima persona di tutti gli spigoli sociali ed esistenziali disseminati nel testo. E che (accompagnato dalla partitura di Pierino Corso) ha riscosso alla fine l’applauso entusiasta del fratello e della sorella di Koltés, arrivati, per amicizia e ammirazione, a segnare un’altra tappa della ricerca di nuovi corpi e territori in cui possa prendere vita, dopo il «canone» segnato a suo tempo dagli spettacoli di Patrice Chereau, la scrittura del loro grandissimo fratello.