Ci risiamo. La Grecia viene messa per l’ennesima volta sotto pressione dai creditori, per quel che riguarda la valutazione dei “progressi” compiuti nell’applicazione del programma di riforme che Atene è stata costretta ad accettare nello scorso luglio. I creditori continuano a chiedere tagli delle pensioni e una “no tax-area” con una soglia molto bassa, mentre rimane ancora aperto anche il capitolo delle sofferenze bancarie. Più le divergenze e il clima di incertezza si protraggono, più viene rimandato l’inizio della trattativa per la ristrutturazione del debito greco, voluta, principalmente, dal Fondo Monetario Internazionale. Ed ovviamente, senza certezze, non riesce a decollare neanche la tanto attesa ripresa economica.

Fonti della Commissione Europea hanno fatto sapere che nel corso del fine settimana sono stati compiuti dei passi in avanti, e che in queste ore si lavora per poter arrivare ad un accordo su tutti i fronti, e chiudere la fase della valutazione riguardo all’applicazione del compromesso dell’estate scorsa.

Secondo la stampa, tuttavia, oltre al memorandum di luglio, e un nuovo accordo che dovrebbe essere firmato a breve con il Fondo Monetario Internazionale, i creditori vorrebbero imporne anche un “Memorandum del Debito”: dovrebbe riguardare le riforme che Atene si dovrà impegnare a portare a termine, in cambio di un allungamento, molto probabilmente, delle scadenze degli interessi sul suo debito pubblico. Perché, al momento, non sembra ci sia volontà di concedere alla Grecia un abbassamento dei tassi di interesse, ma solo, appunto, maggiore tempo a disposizione per quel che riguarda i pagamenti.

Le istituzioni creditrici, cioè, malgrado i disastri degli ultimi anni – con una disoccupazione che nel corso della crisi si è più che triplicata e un quarto di Pil letteralmente andato in fumo – non intendono cambiare la loro ricetta. L’Fmi chiede che vengano aumentate le imposte indirette, alzando anche le tasse sugli immobili, in modo da ricavarne almeno tre miliardi di euro l’anno. In tutto ciò, però, i greci vengono chiamati, quest’anno, a pagare le tasse a partire da maggio (e non da luglio come succedeva sino all’anno scorso) e molte famiglie non avranno la possibilità di onorare i propri obblighi verso lo stato.

«Con la Commissione europea le nostre posizioni sono quasi coincidenti, l’unica distanza da colmare riguarda le sofferenze bancarie», ha dichiarato all’agenzia Bloomberg il ministro alla presidenza Nikos Pappàs. E ha voluto aggiungere che «il Fondo Monetario dice continuamente che il gettito delle misure deve rispettare le previsioni, che i numeri devono trovare conferma, ma per quel che riguarda l’Fmi, i numeri di conferme non ne trovano quasi mai». Ed è quindi la solita ricetta: meglio più tagli e tasse oggi che riforme strutturali domani.

tsipras
Secondo Pappàs la nuova austerità richiesta dall’istituzione economica con sede a Washington finirebbe per affossare definitivamente tutta la realtà economica del paese. Ed incontrando ad Atene il primo ministro portoghese Antonio Costa, Alexis Tsipras ha voluto rincarare la dose, senza infingimenti diplomatici: “in Grecia sono state attuate politiche sbagliate, ed è paradossale il fatto che coloro che riconoscono i propri errori, nello stesso momento insistano nel voler far applicare l’errore”.

Il leader di Syriza ha ripetuto quanto detto nei mesi scorsi, e nelle due campagne elettorali di gennaio e settembre 2015, è cioè che il problema non è la Grecia che si rifiuta di applicare le regole, ma che queste regole non portano a dei risultati positivi e si deve fare tutto il possibile per cambiarle. Tsipras e Costa si sono trovati pienamente d’accordo nel constatare che ogni paese deve poter scegliere il modo che ritiene più adatto per raggiungere determinati obiettivi, compreso il settore delle finanze dello stato. Una tesi sostenuta ultimamente anche da Matteo Renzi. Ma i creditori, da quest’orecchio, non sembrano volerci sentire.

A voler pensar male, si potrebbero avanzare due previsioni: con una nuova pressione in fatto di tagli e tasse, si vorrebbe far cadere il governo, mettendolo in grave difficoltà nelle votazioni parlamentari, o, ancora peggio, far collassare economicamente tutto il paese, negando nuovi prestiti, in caso di non raggiungimento o non applicazione degli accordi. Un copione già scritto l’estate scorsa, e che nessuno dovrebbe più accettare di recitare