«Alcuni aspetti della proposta turca sui profughi sono da verificare, ma bisogna dialogare per giungere a una qualche soluzione». È questa la posizione espressa dal ministro greco degli esteri aggiunto, Nikos Ksidakis, al termine dei suoi incontri politici con esponenti del governo italiano.

L’esecutivo di Syriza insiste nel sottolineare che da una parte bisogna togliere i profughi dalle mani dei trafficanti, e dall’altra ribadire che in Europa deve continuare a prevalere, nel concreto, il principio della solidarietà e della suddivisione proporzionale degli obblighi. Ksidakis si è incontrato con il sottosegretario alla presidenza Sandro Gozi, con il viceministro degli interni Filippo Bubbico ed il sottosegretario agli esteri Vincenzo Amendola. La posizioni di Atene e Roma, sul tema scottante che metterà nuovamente alla prova la tenuta dell’Unione nel vertice del 17 marzo, sono sicuramente molto vicine, con una sensibilità comune. Ma la Grecia, per forza di cose, in questa fase di emergenza si sente notevolmente più esposta di qualunque altro paese e secondo molti osservatori, Atene si attende una solidarietà fattiva ancora più tangibile, da parte dei paesi mediterranei. «Altri nostri vicini hanno deciso di chiudere le frontiere. Realisticamente, dobbiamo proseguire sulla via del dialogo con Ankara, che ha in mano le chiavi per la soluzione di questa crisi», dice il ministro greco, in un incontro con un gruppo ristretto di giornalisti. Ed scandisce in modo netto che «nessun paese membro dell’Unione – neanche la Germania- potrebbe reggere il peso degli ottocentocinquantamila profughi e migranti arrivati in Grecia nel corso dell’ultimo anno».

La posizione del governo di Syriza sulla polemica scoppiata dopo il tweet «incriminato» del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, non cambia: Tusk ha scritto che i flussi non regolati attraverso i Balcani occidentali, devono finire, aggiungendo che i paesi dei Balcani occidentali non compiono delle azioni unilaterali ma che il tutto è stato deciso dai ventotto membri dell’Unione. «E’ una posizione inaccettabile, dal momento si tratta del presidente, appunto, di tutti i membri dell’ Ue», sottolinea il ministro greco. Poche ore prima, Alexis Tsipras aveva chiesto al presidente del Consiglio europeo di «non incoraggiare chi vuole ignorare le decisioni comuni di tutti e ventotto gli stati membri che compongono l’Unione Europea». Il messaggio che manda il ministro Nikos Ksidakis, rispondendo alla domanda del Manifesto, è molto chiaro: «negli ultimi sei anni la Grecia ha pagato un prezzo altissimo, per il fatto di non aver rispettato le regole, come ha detto Schauble. Ora applichiamo con rispetto ogni parola del trattato di Shengen e vogliamo che tutti rispettino la divisione di obblighi e benefici all’interno dell’Europa». E sulla possibilità che i profughi arrivino in Italia attraverso l’Albania, il ministro del governo Tsipras sceglie un approccio molto realistico: «quando la gente è disperata cerca – e spesso trova – ogni altra rotta possibile. Quando la gente scappa dalla guerra di Aleppo o dall’Isis, non credo che abbia paura di valicare le montagne o attraversare il mare».

Quanto alla Libia, Il governo di Atene fa notare che «al momento la situazione nel paese è complessa, con scontri tribali e una parte del territorio occupata dall’Isis» ed un operazione orientata al ristabilimento della pace, quindi, non sarebbe certo facile, visto che provocherebbe anche un numero altissimo di rifugiati. «L’Europa dovrà scegliere tra posizioni realmente progressiste e voci come quelle di Orban», è il messaggio che, infine, lancia da Roma l’esponente del governo ellenico. Intervenendo sempre sulla della crisi dei profughi, dalla città di Arta, il presidente della Repubblica Prokopis Pavlopoulos ha ribadito che un piccolo gruppo di paesi, entrato di recente nella famiglia Europea, non può mettere in pericolo tutto il progetto e la visione dell’Unione. Nel frattempo, a Idomeni si festeggia la nascita di un bambino che – nonostante tutte le difficoltà – tra scoramento, fango e tende montate al meglio possibile, è riuscito a venire alla luce. Si calcola che in tutta la Grecia, al momento, i profughi e migranti arrivati con lo scopo di continuare il proprio viaggio verso Nord e rimasti «intrappolati» per la chiusura delle frontiere, siano più di quarantaduemila. Dodicimila, appunto, solo a Idomeni. Il governo greco vorrebbe cercare di trasferirli in una serie di centri di accoglienza e strutture, in zone distanti da questo confine, simbolo delle intransigenze e indifferenze nazionali. Ma convincerli, ovviamente, sarà tutt’altro che facile.