Sale a 26 il bilancio delle vittime palestinesi delle forze militari israeliane: ieri sono stati uccisi dalla polizia due giovani ritenuti responsabili di attacchi contro poliziotti e cittadini israeliani. Mustafa al-Khatib, 18 anni, è stato colpito alla Porta dei Leoni, ingresso in Città Vecchia, nel presunto tentativo di accoltellamento di un agente. Testimoni hanno raccontato che il ragazzo non aveva armi, ma non si è fermato allo stop intimatogli dai poliziotti.

Nel pomeriggio un altro episodio: due israeliani sono rimasti feriti (un 13enne in modo serio) in un accoltellamento nella colonia israeliana di Pisgat Zeev a Gerusalemme perpetrato da due ragazzi palestinesi, Ahmad Manasra, 12 anni, e suo fratello Mohammad, 14. La polizia ha aperto il fuoco, uccidendo Ahmad. Mohammad sarebbe fuggito. Poco prima una ragazza palestinese, Farah Bakir, 17 anni, veniva ferita a Sheikh Jarrah: secondo la polizia avrebbe accoltellato due israeliani.

Ieri a perdere la vita, in un raid aereo contro Gaza in risposta al lancio di un razzo, erano state una madre incinta di 5 mesi, Nour Hassan, e sua figlia di due anni, Rahaf Hassan. Poche ore dopo giungeva la notizia dell’uccisione di due minorenni, Ahmad Sharakeh, 12 anni, colpito da pallottole israeliane a Beit El in una manifestazione, e Ataa Al Nouri, 13enne di Shu’fat, investito da un’auto guidata da coloni.

Se ieri l’atmosfera in Cisgiordania sembrava più tranquilla, con scontri sporadici a Salfit, per oggi è previsto uno sciopero generale palestinese sia in Israele che nei Territori Occupati, protesta – scrive l’Alto Comitato per i cittadini arabi d’Israele – «per il pericolo che grava su al-Aqsa e il grilletto facile della polizia israeliana».

La risposta israeliana alla rabbia palestinese è la repressione: arresti di massa in Cisgiordania, raid su Gaza, 1.300 feriti dal primo ottobre, da proiettili veri o di gomma. Il premier Netanyahu, che ha richiamato in servizio riservisti di 13 unità dell’esercito, nega di voler infiammare le tensioni. Ieri alla Knesset ha detto che «il terrorismo non è frutto della frustrazione palestinese, ma della volontà di annichilirci», per poi rivolgersi al presidente palestinese Abbas: «Condanni gli attentati».

Risponde il ministro degli Esteri dell’Anp, al-Malki: Israele cerca di accendere «una terza Intifada per evitare l’arena politica e diplomatica». Un’Intifada che Ramallah non vuole.