Per noi cristiani cubani ha un valore simbolico che il presidente Barack Obama inizi il suo viaggio a Cuba la domenica delle palme, inizio della Settimana santa. E che il giorno del suo arrivo decida di visitare la cattedrale dell’Avana, dove sarà ricevuto dal cardinale Jaime Ortega Alamino. La storia dell’arcivescovo dell’Avana è significativa. Negli anni Sessanta del secolo scorso passò la dura prova di essere internato in un «campo di lavoro forzato», le tristemente famose Umap, Unitdes militares de ayuda a la producción, assieme a altri sacerdoti e a giovani, laici e cattolici, definiti «antisociali».

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 Lo stesso cardinale però ha avuto un ruolo di primo piano nell’iniziare un dialogo con il presidente Raúl Castro volto a creare un miglior clima di relazioni tra la Chiesa cattolica e il governo di Cuba e successivamente, appoggiando l’iniziativa del Vaticano e dello stesso papa Francesco per mettere da parte cinquant’anni di guerra fredda tra Cuba e Usa e iniziare un fase di normalizzazione dei rapporti.

Sono passati i tempi in cui si professava nell’isola l’«ateismo militante» di ispirazione sovietica, tanto è trascorso dalla proclamazione, da parte di Fidel, del socialismo seguita al tentativo di invasione nella Baia dei porci organizzato dalla Cia, avvalendosi anche di giovani cubani cattolici formatisi nel clima di forte anticomunismo che caratterizzava la Chiesa cubana prima del Concilio Vaticano II.

Oggi viviamo un momento storico assai differente. E il vertice cattolico guidato dal cardinale Ortega è impegnato a continuare l’opera di mediazione da parte della Chiesa cattolica, come pure di impegno affinché progrediscano le riforme economiche e sociali in corso. Seguendo l’indicazione di papa Francesco, il quale, dopo lo storico incontro con il patriarca russo Kirill, affermò che «se continua così, Cuba sarà la capitale dell’unità». L’impegno della Chiesa nella società civile cubana diventa sempre più evidente. Tanto che nell’Università dell’Avana, dove insegno Storia delle religioni, alcuni studenti inziano a chiedere di fare tesi di laurea sul cambio delle relazioni tra Chiesa e governo socialista a Cuba.

D’altra parte, alcuni studiosi statunitensi hanno definito Obama un «cristiano post moderno che ha risposto al richiamo delle fede» in un tempio afro-americano pentecostale, la “Chiesa della Trinità unita di Cristo” che Obama frequentava negli anni Ottanta a Chicago e dove l’attuale presidente assisteva come avvocato gli afroamericani più bisognosi. La sua visita a Cuba è dunque stata salutata anche dal Consiglio delle Chiese di Cuba, organismo che raggruppa le chiese evangeliche e protestanti dell’isola, come «una scelta della via del dialogo» che potrà beneficiare «non solo entrambi i nostri paesi, ma l’intera regione e il mondo».

Nelle chiese della capitale si prega affinché questa vista apra una nuova fase nei rapporti bilaterali che conduca a una piena normalizzazione delle relazioni. In un quadro di progressiva distensione la Chiesa cattolica si augura che il governo accolga in un futuro prossimo la sua richiesta di aver maggior spazio nei settori cruciali del mass media e dell’istruzione. Da parte loro, molti cattolici, come una parte della popolazione si augurano e sperano che la visita di Obama concorra al miglioramento delle loro condizioni di vita materiali. Per questo viene ribadita la richiesta che gli Usa mettano fine all’embargo, ritenuto il maggior responsabile delle gravi difficoltà economiche che attraversa il paese. Per la stessa ragione, invertendo i termini, un’altra e consistente parte dei miei concittadini si mostra scettica o indifferente sui risultati della visita. «Contribuirà la visita a far abbassare il prezzo dei pomodori o della carne di maiale? E ad aumentare i salari? Non credo proprio, dunque sarà uno spettacolo con poche conseguenze per noi», affermava un’anziana signora uscendo da una Chiesa.