Postmediabooks è indubitabilmente la casa editrice italiana che più argutamente e responsabilmente (o irresponsabilmente) tiene in scacco il dibattito sull’arte contemporanea, attraverso quel filo teso o in tensione che è la riflessione critica. Senza di essa l’arte non ha tempo e senza tempo non ha storia e senza storia non ha identità.

Ciò che avvalora l’opera d’arte è la complessità che innesca nell’ elaborazione di un ragionamento. Sicché ciò che dà senso all’opera avviene esclusivamente attraverso le parole e dunque attraverso gli scritti e di conseguenza attraverso il libro. Nell’epoca in cui l’immagine strillata e decontestualizzata soverchia la parola tutto ciò potrebbe apparire come una logica demodé eppure ne racchiude il suo segreto.
Fresco di stampa è il libro, edito da Postmedia, Non volendo aggiungere altre cose al mondo (pp. 192, euro 19) di Emanuela De Cecco, critica d’arte e docente di Storia dell’arte contemporanea e Cultura Visuale presso la Facoltà di Design e Arti dell’Università di Bolzano, che arride a ciò. Ed é fresco anche il suo contenuto nonostante sia una raccolta di scritti vari (recensioni su Flash Art, saggi critici, presentazioni di mostre curate dalla stessa autrice) pubblicati negli ultimi due decenni, precisamente dal 1996 al 2015.

Spazi vuoti

Nei brevi capitoli che si avvicendano si ripercorre, come in un flusso filmico, il dibattito degli ultimi due decenni intorno a nuove pratiche e a nuovi gesti artistici, a inediti luoghi di intervento che, oggi, sembrano riconfermare la sensatezza dell’«oltre».

Come De Cecco stessa precisa nell’introduzione, «il titolo l’ho preso in prestito dal primo testo della raccolta. Poche frasi, parole nate dall’entusiasmo di avere incontrato un’attitudine effettiva nella quale mi riconoscevo allora e nella quale oggi continuo a riconoscermi. Allora riguardava le pratiche di più gruppi di giovani architetti che iniziavano a muovere i loro passi letteralmente camminando. Nonostante la presenza di un’altra crisi – più silenziosa rispetto a oggi ma comunque aggressiva – potesse far pensare alla necessità di inventarsi altre strade rispetto alla progettazione canonica, l’esplorazione degli spazi vuoti nel tessuto urbano per quanto riguarda Stalker e l’attitudine altrettanto esplorativa della città per quanto riguarda Cliostraat, mettevano al centro qualcosa che aveva senso in sé e veniva prima della progettazione, qualcosa di cui nel frattempo molti architetti si erano dimenticati. Camminare, osservare: l’atto creativo nasceva da questa forma di ascolto incorporato».

Gli stessi artisti che, attraverso le pagine critiche, intuivano e inveravano differenti strategie di azione, riacquistano un forte valore esplorativo. Così, scorrendo le pagine, riappare chiara quanto lungimirante fosse la propulsione ad estendere il gesto artistico allo spazio pubblico e alla condivisione partecipativa.
Si rievocano gli interventi di artisti italiani importanti come Cesare Viel, Luca Vitone, Enzo Umbaca, Adrian Paci, Monica Bonvicini, Eva Marisaldi, Grazia Toderi, Liliana Moro, Margherita Morgantin e molti altri ancora ed esperienze pubbliche inusuali e profetiche per quelle date.

Luoghi urbani

Fra tutte emerge la rassegna d’arte contemporanea Fuori Uso (inventata a Pescara dal gallerista Cesare Manzo e protrattasi annualmente in luoghi pubblici dismessi sempre differenti e precari) di cui l’edizione del 2000 diretta da Helena Kontova e dall’autrice viene allestita sotto il cavalcavia del centro di Pescara. L’idea di coinvolgere lo spazio urbano alle installazioni site specific coincide con la percezione sempre più forte di deambulare l’opera dallo spazio istituzionale a quello informale per aprire il suo linguaggio a una fruizione più allargata. Oltre alla fascinazione sempre più sentita, diffusa e pervasiva, dello spazio urbano abbandonato come territorio sperimentativo.

Emanuela De Cecco ricorda (attraverso il testo pubblicato in catalogo del progetto stesso) anche l’esperienza del Progetto Zingonia del 2001. Arte Integrazione Multiculture va ricordato come il progetto interculturale e multidisciplinare che ha interfacciato il legame tra l’arte e le problematiche dell’interculturalità e della trasformazione sostenibile del territorio.
Interrelazioni

Il progetto, sviluppato nel territorio così socialmente e politicamente connotato di Zingonia (nei pressi di Bergamo) avviluppava i comuni limitrofi di Ciserano. I laboratori creati da Stefano Arienti, Luca Vitone, Liliana Moro e Gennaro Castellano erano volti a creare con le varie comunità cittadine una rete di relazioni trasversali fra artisti, intellettuali, urbanisti, associazioni, attivando una dimensione di comunicazione e interrelazione.
L’elemento discorsivo del libro, fondato sullo spazio della rappresentazione, si ferma ad un testo che riflette sull’edizione della 56ma Biennale d’arte di Venezia diretta da Okwui Enwezor nel 2015.
Infine, come ultima considerazione, da Non volendo aggiungere altre cose al mondo emerge una eredità inconfutabile: quanto l’attività critica fosse notevolmente più vivace e pulsante e per combattuta o fluida che fosse, serviva/serve più che mai a incendiare i neuroni invece di assopirli con la banalità dell’immagine.