In origine, la Lenbachhaus era la villa di quel pittore – Franz von Lenbach (1836-1904) – che professava, con spavalderia tenebrosa, alta fedeltà a Rubens e Tiziano. Una residenza in stile neorinascimentale che diviene poi pinacoteca civica (1929) e trova, in seguito alla donazione di Gabriele Münter (’57), la felice funzione di luogo d’approdo delle opere del ‘Cavaliere azzurro’. Da qualche anno, dopo l’intervento di Foster and Partners (2003-’13), alla Lenbachhaus non si accede più dal giardino all’italiana, ma da un cubo di ottone, e all’ingresso appeso al soffitto è un monumentale caleidoscopio di Olafur Eliasson (2012). Eleganza, luce diurna e forza del bianco sono garantite quando c’è di mezzo l’architetto-baronetto, ma meno del British, del Reichstag o delle Sackler Galleries alla Royal qui riesce il suo incantesimo di integrazione col passato. La villa era in asse con la Gliptoteca, si innestava entro la tessitura neoclassica di quel genio urbanistico che fu Leo von Klenze: rapporti ora meno leggibili. Meglio allora il modernismo del Kunstbau (1988-’94), un semi-interrato progettato per le esposizioni dal tedesco Uwe Kiessler: le sale sono visibili dalle scale mobili della metropolitana e la città può, anche di sfuggita, gettare un’occhiata a un dipinto. Qui, in collaborazione con il Kunstmuseum di Bonn, il museo ospita una mostra su un’amicizia di artisti: August Macke und Franz Marc Eine Künstlerfreundschaft, a cura di Volker Adolphs e Annegret Hoberg (specialista di Marc e autrice di un lucido saggio nel catalogo, Hatje Cantz, in inglese e tedesco, pp. 359, euro 39,80).
A Monaco, il 6 gennaio 1910, tre giovani pittori bussano allo studio di Marc. Hanno visto in una galleria una sua litografia, di cavalli grigi e panna – e c’era la semplicità degli Egizi, di Giotto, ‘qualcosa di gotico-cortese’ (Macke a Marc, 26/12/’10). Vanno subito a trovarlo. Uno dei tre è Macke: ha ventitré anni, ha appena sposato Elisabeth Gerhardt, ricca, bella, in stato interessante, e per di più nipote di un collezionista decisivo, Bernhard Koehler (un altro dei tre è suo figlio). Questo enfant prodige che ha preferito le lezioni berlinesi di Lovis Corinth all’accademia di Düsseldorf, cresce studiando dal vero volti e strade, antichi maestri, caffè e teatri. Ha un bagaglio di cultura europea, forte di viaggi in Italia, Londra, Berlino e soprattutto Parigi: tre volte. A queste date (fine 1909), i ritratti di sé e di Elisabeth sono pagine felici di un fauvismo organizzato e delicato. I tre giocano a carte scoperte: ‘Cézanne è il loro dio’ (Marc a Maria, 6/1/’10). Il pittore che apre la porta attraversa invece una situazione, esistenziale e pittorica, tutta diversa. Ha quasi trent’anni, difficoltà economiche, un matrimonio fallito alle spalle. Verso il ’06 aveva incontrato la pittrice Maria Franck, che diverrà la compagna della vita e, nella chiarezza di un’estate, aveva dipinto le due donne, distruggendo poi la parte riservata all’ex-moglie. Una pittura di bagliori postimpressionisti, che matura nel ’07 con un soggiorno parigino: scopre Van Gogh, Gauguin, la scultura egizia e medievale, infine Rodin (Marc a Maria, 13/4/’07). In Marc, una sottotraccia di tensione è ora filtrata da soffuse atmosfere prealpine, da accordi chiari condotti secondo luminosità di stagione. Gatti assonnati, monumentali bagnanti bianche, e poi cavalli marroni, immersi in paesaggi a orizzonte convesso.
Marc non si lascia scappare l’occasione: ricambia subito la visita ai Macke sul Tegernsee (gennaio ’10), e alla sua prima personale (febbraio ’10) Koehler acquista diversi dipinti. Già in luglio il collezionista gli accorda una somma mensile di 200 marchi, in cambio di opere. Quando Macke ritrae l’amico che fuma la pipa, spuntano nuove accensioni cromatiche – e Marc ha visto Matisse a Berlino (Marc a Macke, 6/5/’10). Sotto gli effetti della seconda mostra della Secessione di Monaco (settembre ’10), i prati di Marc si accendono di gialli dilaganti, e il blu, che è criniera di un cavallo che guarda il paesaggio, può anche impadronirsi come una virgola del centro. Per Macke è tempo invece di rientrare a Bonn, e di coltivare con visioni più nitide, semplici e amabili, il suo autonomo idillio con corpi e città. Al vigore cromatico fauve concede accesso limitato, non vuole turbare un equilibrio solido e deliberato. Le associazioni di colori alle sensazioni incuriosiscono il giovane, che chiede se il blu possa esprimere tristezza, il giallo allegria e il rosso brutalità (Macke a Marc, 10/12/’10). L’amico risponde con una teoria: il blu è principio maschile, il giallo femminile e il rosso la materia, e l’armonia si trova mischiando un colore naturale al complementare opposto: per esempio, blu e arancione; giallo e viola; rosso e verde. Nel celebre Cavallo blu I (1911), Marc sperimenta come ciò possa praticarsi: come un bolide a riposo, il colosso equino è appena disturbato dai riscontri giallo-viola delle collinette, che intelaiano una placida esibizione. Macke procede già in altra direzione: la sua Testa di donna in arancione e marrone (’11) segue la teoria del colore del nabis Paul Sérusier, secondo cui da uno o più toni andavano sviluppate le diverse gradazioni.
L’improvvisa folgorazione di Marc per Kandinsky irrompe come un macigno nell’amicizia fra i due. ‘Le ore passate a ascoltarlo sono un’esperienza memorabile’ (Marc a Maria, 10/2/’11). Macke aveva già avanzato riserve sui secessionisti di Monaco: ‘la loro ricerca è, credo, eccessivamente formale’ (Macke a Marc, 26/12/’10). Di contro, aumentava la sua fascinazione per Matisse, ma sul punto Marc esprime uno scetticismo vagamente nazionalistico (Marc a Macke 12/6/’14). Macke però si lascia coinvolgere dall’amico e le due coppie vanno a Murnau da Kandinsky e la Münter: così nasce il primo Almanacco del Cavaliere azzurro (ottobre ‘11). Tuttavia, nella rivista, poco spazio viene concesso all’opera di Macke, a discapito di quella delle ‘mogli’; e peggio va a finire in occasione della prima mostra: su una sua Suonatrice di liuto, Kandinsky pone il veto e scoppia il putiferio (dicembre ’11). ‘Vanità, dominio delle donne sugli uomini e cecità giocano un ruolo importante nel Cavaliere azzurro. Ancora mi suonano nelle orecchie i grandi discorsi sull’avvento del Grande Spirituale. Kandinsky può discutere di questo e di rivoluzione quanto gli pare’ (Macke a Marc, 22/1/’12). La rabbia arriva al punto che Macke scrive anche allo zio, affinché non sopravvaluti Marc: gli ultimi dipinti proprio non sono riusciti (Macke a Koheler, 22/1/’12). Per precisare il pensiero, bastano le caricature di Macke del ‘Cavaliere azzurro’: in carrozza siede un impettito Kandinsky e a Marc tocca fare il vetturino. La crisi prosegue in vista dell’importante mostra del Sonderbund di Colonia, Macke, nel comitato, spalleggia Kandisnky e Marc, ma i due vogliono presentarsi come gruppo, non come singoli. Dopo le selezioni, poco generose per i monacensi, il ‘Cavaliere azzurro’ organizza a Berlino, in polemica, una mostra di dipinti rifiutati (estate del ’12).
Ma il dissidio si ricuce. Nell’autunno, i Marc vanno a Bonn e poi con Macke a Parigi. I pittori riprendono un progetto risalente agli albori dell’amicizia, dipingere insieme un grande murale con il Paradiso terrestre nello studio di Macke a Bonn. Staccato, è ora al Landesmuseum di Münster, ma in cattive condizioni di conservazione. Da Parigi, Macke torna con la mente carica di orfismo, futurismo e cubismo: più di tutti gli è piaciuto Delaunay. Nelle sue promenades (’13-’14), uomini tubolari e senza volto si aggirano allo zoo, al circo o al parco, fra tinte cupe e lussureggianti. I due si ritrovano anche a organizzare e partecipare al Salone d’autunno di Berlino del ’13: altra mostra-chiave per il lancio delle avanguardie in Germania. Il canto del cigno per Macke è l’amicizia con Klee: fanno fede gli acquerelli del viaggio dei due in Tunisia, dove varietà di puro colore sono incastonate entro reticoli mirabolanti (aprile ’14). Neanche quattro mesi dopo, Macke muore sul fronte francese, a ventisette anni. Due anni dopo, è vittima della Grande Guerra anche Marc (trentasei anni). Aveva almeno avuto modo di dedicare all’amico un necrologio sconfortante. I suoi animali nel frattempo, contratti entro le scansioni del cubismo, avevano assunto le sembianze deformate della tragedia collettiva.