Shah Deniz è il più grande giacimento di gas naturale dell’Azerbaigian. Si trova nel sud del Mar Caspio a una profondità di 600 metri e si estende per circa 860 chilometri quadrati. Il giacimento è stato scoperto nel 1999 ed è da lì che arriverà il gas che dovrebbe «salvare» l’Italia e l’Europa dal monopolio russo in tema di approvvigionamenti energetici. Il gas sarà portato dal Tap (Trans-Adriatic Pipeline), il tanto discusso gasdotto transadriatico che approderà sulla costa salentina (precisamente in località San Foca, Marina di Melendugno in provincia di Lecce) passando attraverso Georgia, Turchia, Grecia, Albania ed il mar Adriatico, permettendo al gas proveniente dalla regione del mar Caspio di raggiungere direttamente i mercati europei. Perché il problema è soprattutto europeo. L’8 e il 9 settembre, nella capitale azera Baku, si svolgeranno una serie di incontri informali dei ministri dell’Energia dei Paesi del partenariato orientale dell’Ue (Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldavia, Ucraina, Bielorussia e Azerbaigian). Mentre il 20 il premier Matteo Renzi andrà in Azerbaigian per «il via libera al Tap», come promesso nei giorni addietro.

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Del resto, la Commissione europea ha affermato, in tempi non sospetti, che l’obiettivo è completare il mercato del gas del vecchio continente entro il 2014. Per farlo, è stata stilata una lista di oltre 100 infrastrutture «di priorità comunitaria» che gli Stati membri devono impegnarsi a completare entro il 2020. E tra queste figura proprio il Tap. L’Italia, che lavora a questo progetto dal lontano 2003, si è subito allineata. A luglio Renzi e Ilham Aliyev, premier dell’Azerbaigian (denunciato da Amnesty International per violazione di diritti umani), hanno firmato una dichiarazione congiunta di partenariato strategico. Che ha trovato la sua ragion d’essere nel decreto Sblocca Italia varato dal Consiglio dei Ministri pochi giorni fa, all’interno del quale c’è l’ok politico al progetto Tap.

Perché a livello tecnico le cose sono molto più complicate.

Lo scorso 29 agosto la commissione di Via (Valutazione di impatto ambientale) del ministero dell’Ambiente ha espresso parere positivo alla realizzazione dell’opera. Il documento, al momento, non è stato ancora reso pubblico. L’iter per l’autorizzazione prevede che in un paio di settimane il parere della Commissione venga recepito dal ministro dell’Ambiente, il quale, dopo aver a sua volta recepito l’indirizzo del dicastero dei Beni culturali, emetterà il decreto conclusivo. La palla passerà quindi al ministero dello Sviluppo, il quale – al termine della conferenza dei servizi a cui parteciperà anche la Regione Puglia – emetterà l’autorizzazione unica. Ed è proprio in conferenza dei servizi che la Regione potrebbe sollevare una serie di eccezioni, tra cui negare l’intesa autorizzativa con il ministero, tali da indurre il Consiglio dei ministri ad avocare a sé l’intera procedura. Del resto, la commissione Via regionale ha già bocciato per ben due volte il progetto, pur restando il suo, per legge, un parere consultivo e non vincolante. Nelle ultime ore, il governatore Nichi Vendola ha espresso la sua indignazione sul proseguo dell’iter del progetto. «Prendo atto del fatto che la diffusa contrarietà delle popolazioni del Salento non ha trovato ascolto nel governo».

Il progetto prevede l’arrivo dal Mar Caspio di 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno, grazie a un «tubo» di 870 chilometri. Sono 110 – 45 di competenza italiana – quelli che collegheranno l’Albania e l’Italia, più 8,2 chilometri nell’entroterra salentino, attraverso un tubo interrato a 1 metro e mezzo di profondità, con una fascia di asservimento di 20 metri per lato. Dopo di che il gasdotto continuerà il suo tragitto fino a Mesagne e poi da Mesagne a Minerbio. Questo tratto sarà realizzato dalla Snam Rete Gas, a cui l’enorme gasdotto verrebbe allacciato, che nel 2009 ha ottenuto dalla Bei (Banca Europea Investimenti) un finanziamento di 300 milioni di euro.

Il progetto ha ottenuto parere favorevole di compatibilità ambientale, nonostante su 28 località attraversate dal metanodotto, 14 siano classificate in zona sismica 1 e 14 in zona sismica 2. Anche la centrale di compressione, localizzata a Sulmona, ricade in zona sismica di primo grado. Per questo il tratto italiano del gasdotto ha ricevuto diverse bocciature, compresa quella della Regione Abruzzo.
Il Tap è stato sin da subito osteggiato dalle popolazioni locali e dai tanti Comuni (Melendugno, Vernole, Castrì, Potì, Caprarica di Lecce) che saranno interessati dal passaggio dei tubi.

Da oltre due anni, il «Comitato No Tap» si batte affinché il progetto venga bloccato. Con diverse ragioni. In primis, perché il progetto serve più all’Europa che all’Italia: visto che i consumi di gas interno, secondo i report della Snam, dal 2010 sono crollati di quasi 16 miliardi di metri cubi. Inoltre, non regge nemmeno la tesi per cui la Tap ci emanciperebbe dal monopolio russo, visto che una delle società azioniste del progetto è proprio la russa Lukoil. Né il progetto porterà ricadute economiche, in quanto la società costruttrice (la Trans Adriatic Pipeline Ag) è registrata a Baar, in Svizzera, e non pagherà mai le tasse in Italia. Ma soprattutto il no è dovuto alla difesa del territorio e del mare, forza trainante dell’economia salentina e fiore all’occhiello di un turismo che cresce di anno in anno.

«La realizzazione del gasdotto non causerebbe solo un danno economico “compensabile” – affermano dal comitato -. L’infrastruttura, infatti, arriva dal mare, attraversa la falda acquifera, che proprio nella zona di San Foca passa quasi in superficie, mette a rischio la costa, l’habitat marino, le riserve d’acqua e le piantagioni antiche di ulivi anche millenari».

Un’opera che modificherebbe irreparabilmente l’ambiente e in cui sono incardinate tutte le attività economiche e commerciali che in questa terra danno da sempre da vivere, e che sono parte del tessuto sociale e culturale del territorio. Dalla pesca all’agricoltura, agli agriturismi alla produzione vinicola, una terra che fa del rispetto per l’ambiente il suo punto di forza. «Un gasdotto e tutte le sue implicazioni non fanno parte del futuro che gli abitanti dell’area stanno costruendo per i loro figli».