Non c’è solo Banca Etruria. Né il paradigma del famoso decreto di domenica 22 novembre 2015. La parola «banca» finisce per diventare sinonimo di storie incredibili, poteri inossidabili, giochi a senso unico, piramidi di benefits e compassi da cerchio magico.
Stefano Righi, firma dell’inserto economico del Corriere della Sera, racconta Il grande imbroglio. Come le banche si prendono i nostri risparmi (Guerini e associati, pp. 160, euro 12,50). Una lettura più che istruttiva sul castello di carta dei soldi. Una cronaca spietata della «rottamazione» strutturale dell’Italia governata da Renzi & Boschi. È la vera deriva di un sistema che fa comodo a pochi eletti e si fa pagare perfino con gli interessi, non solo politici.
Grazie al libro di Righi, sappiamo come l’«impossibile» crack dei fratelli Lehman sia costato alle nostre banche 150 miliardi di euro prontamente scaricati sul «parco buoi» di risparmiatori e piccoli investitori. Oppure che a marzo 2015, giusto mentre il capo della vigilanza di Bankitalia Carmelo Barbagallo si spolmonava nell’audizione a Montecitorio, la Cassa di Risparmio di Ravenna (presieduta da Antonio Patuelli, presidente Abi), ritoccava la sua solidità con 170 milioni di bond subordinati che alla vigilia di Natale ha dovuto affannosamente ricomprare dai suoi stessi clienti.
Il «mitico Nord Est», invece, ha spacciato schei con il trucco semantico incorporato. Righi è illuminante: «A Vicenza (e a Montebelluna), hanno campato a lungo giocando sulla sottile differenza che esiste tra la parola ’prezzo’ e la parola ’valore’. Medesima percezione, concetti giuridicamente diversi, talvolta addirittura opposti. Qual è il prezzo delle azioni, chiedeva l’ingenuo socio? Il valore è 62,5 euro, rispondeva l’accorto bancario». Così la prossima primavera Popolare Vicenza e Veneto Banca sono chiamate a rastrellare altri 2,5 miliardi in aumenti di capitale, come eredità della stagione d’oro senza caratura di Gianni Zonin e Vincenzo Consoli. Del resto, il 21 dicembre scorso nella filiale Veneto Banca di Castelfranco un correntista-azionista aveva «recuperato» 7.300 euro con un’inedita quanto simbolica rapina…

La storia si ripete sempre. Negli anni ’80 salta il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi (più di 2 miliardi di euro) e negli anni ’90 crolla il Banco di Napoli di Ferdinando Ventriglia. Gli anni zero registrano il tilt di Unicredit, «la» banca con al timone Alessandro Profumo: «Bruciò il 90% del proprio valore in meno di due anni: il 2 aprile 2007 il titolo valeva 42,26 euro. Il 2 marzo 2009 era sceso a 3,68 euro». E «il grande imbroglio» continua. Se su Montepaschi che incorpora Antonveneta si è scritto a iosa, nelle banche «territoriali» si scopre davvero di tutto. Righi documenta spietato senza sconti, a beneficio del lettore-risparmiatore.
Banca Popolare Milano nella gestione di Massimo Ponzellini, curriculum che va da assistente ministeriale di Prodi a presidente Impregilo via Nomisma e Bei. In Bpm si scoprirà una banca parallela: «Eroga finanziamenti agli amici degli amici, alcuni di questi particolarmente attivi nel mondo del gioco d’azzardo, per complessivi 230 milioni di euro, in cambio di pagamenti per circa 5 milioni».
Banca delle Marche? «Secondo lo studio legale Bonelli Erede Pappalardo, che ha redatto nel maggio del 2015 l’atto di citazione, il crack è paragonabile, in Italia, solamente alla vicenda Sindona».
Cassa di risparmio di Chieti? Domenico Di Fabrizio, assunto come autista, diventa dominus perfino nella Fondazione. Alle Comunali 2011 raccoglie il record di preferenze e fa politica con identico stile: senza badare agli steccati delle coalizioni.

Banca Popolare di Cividale? Lorenzo Pellizzo, farmacista, è il presidente dal 1970 fino al 2014 quando si registreranno 500 milioni di «incagli».
Una risposta clamorosa arriva fin dalle prime pagine del libro di Righi: «Nel 2014, McGraw-Hill Financial, con la George Washington University e la Banca Mondiale, ha condotto una ricerca sulla cultura finanziaria in 148 Paesi; l’indagine ha portato a stilare una classifica nella quale l’Italia è finita dietro a Botswana, Madagascar, Togo e Kenya».
Resta intatto l’interrogativo su correttezza, trasparenza, affidabilità dei banchieri stellarmente lontani dal «buon padre di famiglia» e più che connessi con affari & politica. Il business scriteriato, nel solo Veneto cattolico e leghista, con Popolare Vicenza e Veneto Banca ha bruciato 10 miliardi. Righi chiosa: «Chi ha sottoscritto l’ultimo aumento di capitale della Vicenza a 62,50 euro si è trovato pochi mesi dopo con l’azione svalutata a 48 euro e invendibile. Difficile, per quelle 26 mila persone, nuovi soci della banca, dimenticare la sensazione di aver subito una truffa, di essere stati raggirati, di aver buttato i risparmi dalla finestra».

Ma dentro questo grande imbroglio si annida soprattutto la delega in bianco a chi si è scavato la nicchia nella montagna di soldi altrui. Righi certifica un elenco che dovrebbe, almeno, attivare la «buona scuola» delle verifiche o il Jobs Act al merito, se esiste davvero. È la risonanza magnetica dell’Italia che non cambia mai: «Carlo Fratta Pasini, 59 anni, è nel consiglio di amministrazione del Banco Popolare (e delle banche che lo hanno fatto nascere) dal 1995, mentre siede sulla poltrona del presidente dal 1999. Alberto Folonari, 78 anni, è nel consiglio di amministrazione di Ubi Banca dal 1995. Angelo Tantazzi ha un posto nel consiglio di amministrazione della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna dal 1993. Marco Jacobini è presidente della Popolare di Bari dal 1989. In precedenza, su quella poltrona vi era il padre, Luigi, fondatore dell’istituto nel 1960. Domani, probabilmente, a guidare la banca ci saranno i figli, già in organico. Giovanni De Censi è entrato al Credito valtellinese nel 1957, aveva 19 anni. È diventato direttore generale nel 1981. Nel 1996 è diventato amministratore delegato. Dal 2003 è presidente, carica che ricopre quando ormai, per lui, gli anni sono diventati 78. Pensate possa bastare? Alla Popolare dell’Etruria, lo scomparso Elio Faralli rimase in carica per trentacinque anni. Il senatore Denis Verdini per vent’anni ha guidato il Credito Commerciale Fiorentino. Gaetano Saporito è stato presidente per trentacinque anni della Banca di credito cooperativo Toniolo di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, rieletto per dodici volte all’unanimità prima di dimettersi a 81 anni, ma lasciando la poltrona al fratello Salvatore, all’epoca 77 anni, già direttore generale».