La commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario ci sarà. Ieri alla Camera sono passate, con voto incrociato, tutte le distinte mozioni che chiedevano di introdurla. Il capogruppo forzista Brunetta ha salutato il voto come «una data storica e una grande vittoria di Fi, che insisteva dal 2015». Proprio perché rivendica una sorta di primogenitura in materia, Fi ha fatto sapere che chiederà la presidenza della commissione. In realtà tutti i partiti hanno votato le parti delle mozioni anche altrui che proponevano l’inchiesta parlamentare. Il governo, per bocca del sottosegretario all’Economia Baretta, si è rimesso al parere dell’aula, di fatto un semaforo verde confermato poi dallo stesso Baretta: «E’ una richiesta ragionevole».

A chiedere la commissione d’inchiesta erano Fi, Sinistra italiana, Lega, Ala, Sc. Ma la svolta è arrivata con l’ok del Pd, seguito da apposita mozione presentata dal capogruppo Rosato. Al Senato, subito prima della pausa natalizia, il Pd aveva votato contro la richiesta, avanzata allora dalla capogruppo di Si, De Petris. Ora ha invece deciso di giocare d’anticipo. Stamattina il Senato discuterà infatti la proposta M5S di istituire urgentemente una commissione specifica su Mps. Al Nazareno e a palazzo Chigi si sono resi immediatamente conto che varare il decreto per salvare Mps, riconoscendo così l’esistenza di una situazione grave e urgente, e allo stesso tempo bocciare l’inchiesta su come a tale situazione si sia arrivati sarebbe stato impossibile. Governo e Pd hanno quindi deciso di rilanciare facendo propria la richiesta ma chiedendo di allargare l’inchiesta all’intero sistema bancario. Al Senato la proposta M5S verrà così bocciata perché «inutile» dal momento che entro pochi giorni verrà approvata l’inchiesta sull’intero sistema.

A palazzo Madama i testi depositati in commissione Finanze sono 13. L’obiettivo è portare in aula, il 31 gennaio, un testo unico che prevederà certamente la messa sotto inchiesta non solo degli amministratori e dei dirigenti degli istituti di credito in sofferenza ma anche degli enti di controllo, Consob e Bankitalia, la cui mancata vigilanza era stata al centro di critiche unanimi e severe, ma prive di esito, dopo il salvataggio di 4 banche, tra cui Etruria, da parte del governo Renzi nel 2015. Non è escluso che su questo fronte delicatissimo possa crearsi una frizione con Bankitalia che, pur avendo approvato l’idea dell’inchiesta, potrebbe negare i verbali delle ispezioni di vigilanza.

Il terreno, per il Pd, è scivoloso e pericoloso, ma al Nazareno sono convinti che tra discussione e istituzione della Commissione i tempi si dilateranno a sufficienza per rendere molto più determinante l’esito del decreto salva Mps. Anche quello è già in discussione al Senato: il suo iter proseguirà in parallelo con quello della commissione. Quasi certamente conterrà un emendamento per rendere pubblici i nomi dei principali debitori insolventi, proposta avanzata per primo dal presidente dell’Abi Patuelli. Le mozioni presentate ieri alla Camera contenevano indicazioni in questo senso, anche se, precisa il capogruppo di Si Arturo Scotto, «la nostra ipotesi era più ampia. Avremmo voluto che fossero resi noti i nomi dei principali debitori insolventi di tutte le banche in crisi». Al momento la norma invocata dal presidente dell’Abi nel decreto non c’è, ma il governo, dopo aver consultato lo stesso Patuelli, sembra deciso a inserirla.

Quando i lavori della commissione d’inchiesta si concluderanno il governo avrà dunque già affrontato la prova del salvataggio di Mps, il cui esito sarà più decisivo degli stessi risultati della commissione. Il passaggio cruciale non avverrà in Italia ma in Europa. Ieri il ministro Padoan ha incontrato il presidente di Mps Falciai e l’ad Morelli: il primo passo verso la definizione del piano industriale che dovrà essere sottoposto al vaglio della Bce. I dolori, se ci saranno, arriveranno a quel punto. Al momento la disposizione europea, come dimostra il raddoppio della ricapitalizzazione imposto dalla Bce, non è affatto conciliante.