La società statunitense Monsanto ha rifiutato la proposta di acquisizione da parte del colosso tedesco Bayer, ma non chiude le porte a ulteriori trattative. Nonostante i 62 miliardi di dollari messi sul piatto dalla società di Leverkusen rappresentino la più elevata offerta di acquisto della storia, il consiglio di amministrazione Monsanto l’ha giudicata insufficiente ma si è dichiarato disponibile a ulteriori negoziati. Secondo gli analisti finanziari, un ritocco verso l’alto del 10% potrebbe bastare per un accordo. Ma per molti osservatori e Ong, si tratterebbe di una fusione pericolosa per la concentrazione di potere che si verrebbe a creare.

Tra pesticidi e sementi

Anche il mercato continua a scommettere su un esito positivo della trattativa. Da quando la Bayer ha presentato la sua offerta, il prezzo delle sue azioni ha iniziato a scendere, mentre quelle della Monsanto hanno preso la direzione opposta. Questi trend non si sono interrotti dopo il rifiuto, segno che i mercati credono alla fusione.
Il matrimonio tra Bayer e Monsanto porterebbe alla creazione del più importante polo nel mercato delle biotecnologie dedicate all’agricoltura. Le due aziende possiedono fette di mercato importanti negli stessi settori, la produzione di pesticidi utilizzati nella protezione delle coltivazioni (dove è più forte la Bayer) e delle sementi geneticamente modificate per resistere all’azione dei pesticidi stessi (dominato dalla Monsanto).
Sfamare una popolazione stimata intorno ai nove miliardi nel 2050 sarà un ottimo affare per chi saprà aumentare la produttività agricola attraverso l’innovazione tecnologica. Perciò il settore sta attraversando un periodo di ristrutturazione, caratterizzato da diversi accordi tra società produttrici di sementi Ogm e colossi della chimica. La Dupont, secondo produttore mondiale di semi Ogm, e la Dow Chemical hanno già pianificato una fusione dal 130 miliardi di dollari. Invece, per acquisire la svizzera Syngenta la ChemChina dovrà spendere «solo» 43 miliardi di dollari, se otterrà il via libera da parte delle autorità di regolazione dei mercati finanziari.

Nonostante l’operazione Bayer-Monsanto appaia sensata, i movimenti dei titoli azionari dimostrano che non tutti gli osservatori ne danno un giudizio positivo. Le prospettive dell’agricoltura Ogm appaiono piuttosto incerte. Da un lato, l’agricoltura Ogm inizia a dare segni di saturazione. Nel 2016, la superficie agricola coltivata a Ogm per la prima volta è calata, dopo essere più che centuplicata nel ventennio 1996-2015. Il -4,6% nei ricavi delle sementi Monsanto nel 2015 è un primo campanello d’allarme. Nei paesi in cui le coltivazioni Ogm sono autorizzate, esistono ormai pochi margini di espansione. Non migliora il quadro un recentissimo rapporto delle National Academies of Sciences statunitensi secondo cui «non vi sono evidenze che le varietà Ogm abbiano influenzato gli aumenti di produttività» dell’agricoltura. L’analisi confermerebbe la posizione di molte associazioni ambientaliste, che sostanzialmente giudicano gli Ogm un «bluff».

Un brand in crisi

In Europa, qualche nuovo mercato potrebbe aprirsi per gli «Ogm non transgenici», prodotti con nuovissime tecniche di modificazione genetica (Crispr-Cas9 in primis). Ma questo aumenterebbe la concorrenza alla Monsanto, più che favorirla. In assenza di un accordo, dunque, il futuro della Monsanto non appare roseo. Questo spiega perché l’acquisizione sta aumentando l’interesse degli azionisti per il titolo, salito di quasi il 20% nel mese di maggio.
Dal punto di vista degli azionisti Bayer, invece, il quadro è opposto. Solo il 7% di loro, secondo un sondaggio pubblicato dal Financial Times, approva l’operazione. L’investimento di oltre 60 miliardi di dollari supererebbe di quattro o cinque volte i profitti annuali della società. Inoltre, ne sposterebbe il baricentro dal settore farmaceutico, dove invece i margini di profitto appaiono più promettenti. Infine, molti azionisti Bayer temono per la pessima reputazione del «brand» Monsanto, che appare nelle cronache soprattutto per le aggressive strategie nella brevettazione delle varietà agricole, nel controllo del mercato dei semi e soprattutto nell’impatto dei suoi prodotti sull’ambiente.
Per esempio, il dibattito internazionale sui rischi connessi all’uso del glifosato Monsanto è tuttora molto vivace e segue altri scandali simili che hanno coinvolto la società. Presso l’opinione pubblica tedesca, in cui le istanze ambientaliste sono più forti che altrove, questo fattore può avere un peso.
Anche la concentrazione di potere commerciale che si verrebbe a creare genera perplessità. La posizione dominante nel mercato delle varietà transgeniche della Monsanto è già stata più volte indagata dalle autorità statunitensi. In altri casi, la Monsanto è stata accusata di biopirateria – persino dalla stessa Bayer – cioè di aver brevettato varietà vegetali già utilizzate nell’agricoltura tradizionale. Dalla loro fusione nascerebbe un gigante pericoloso, che controllerebbe da solo il 30% del mercato dei semi e il 24% del mercato dei pesticidi. È possibile che le autorità anti-trust si oppongano all’accordo.

Peccati originali

Pure la Bayer ha i suoi scandali da farsi perdonare. Limitandosi al settore agricolo, il numero di piante trangeniche brevettate dalla Bayer è addirittura superiore a quello della Monsanto (206 a 119) secondo un’inchiesta realizzata sui dati dall’ufficio brevetti europeo dalla Ong «No patents on seeds». Il brevetto sulla biotecnologia «terminator», che provoca la sterilità delle piante, condannato dalla Convenzione Onu sulla biodiversità, è nel portafoglio della Bayer.
Anche sugli erbicidi non gode di grande reputazione: il glufosinato Bayer, un prodotto simile al glifosato, verrà bandito dall’Unione Europea a partire dal 2017. D’altronde, un «peccato originale» assai più grave unisce Bayer e Monsanto. Da una loro joint venture, nel 1954 nacque negli Usa la società «MoBay». Divenne uno dei principali produttori dell’«agente Orange», il defoliante alla diossina usato nella guerra del Vietnam. Chi curerà il marchio della nuova società avrà parecchio lavoro.