Francesca Pilla in redazione a Roma, a via Tomacelli
Francesca Pilla in redazione a Roma, a via Tomacelli

Una folla composta, quella che ha seguito il funerale di Francesca Pilla, firma del manifesto da Napoli, morta tra la notte di venerdì e sabato. Ma anche un pubblico eterogeneo per età, cultura politica e esperienza di vita.

C’era la sinistra napoletana che ha avuto la sua educazione sentimentale alla politica negli anni Novanta. C’era la galassia dei movimenti e dei centri sociali che aveva trovato in Francesca una giornalista attenta e empaticamente dalla loro parte. Alcuni sindacalisti, perché Francesca ha scritto molto delle mobilitazioni operaie a Napoli. E gli amici, le amiche che si sono stretti attorno a lei negli ultimi anni per sostenerla nella sua caparbia battaglia contro una malattia che la gettava sulla feroce altalena di guarigione sperata e ricadute sempre più debilitanti.

Sono loro che hanno assistito Francesca fino all’ultimo. Poi Alessandra, la figlia amata, che si guardava smarrita attorno, cercando volti conosciuti. Suo padre, Gabriele, volto segnato dal dolore, ma attento che la figlia non rimanesse mai sola. Una grande e solidale comunità elettiva. Ma anche una famiglia allargata, quella di ieri che ha salutato Francesca in una chiesa del Vomero.

Francesca alternava riserbo e improvvisi squarci su una vita tumultuosa. «Sono cresciuta in strade dove le difficoltà sono la normalità: per questo non mi spaventano», amava ripetere.

Francesca è stata il nostro sismografo in una città che amava molto. Il giornalismo per lei era una passione che coniugava il piacere di raccontare la realtà con il desiderio di cambiarla.

Prima del manifesto aveva collaborato a testate locali. Aveva seguito con attenzione il disfacimento della ex-Jugoslavia. Poi l’inizio della collaborazione con il manifesto. Diceva sempre che a Napoli accadevano tante, importantissime cose. Capirle, raccontarle, avrebbe aiutato tutti coloro che erano interessati a cambiare non un paese, ma il mondo.

Da Napoli invitava, con determinazione, a trovare lo spazio consono a quello che lei riteneva rilevante. E Roma non sempre corrispondeva a quelle richieste.

È con questo spirito che propose anni fa di avviare un’esperienza ambiziosa e temeraria: un inserto veicolato dal «manifesto» dedicato alla sua città. Fece leva su amicizie solide, militanti. Riunì un gruppo eterogeneo, appassionato, desideroso di fare un buon lavoro. Riuscirono a farlo.

«Metrovie» seminò molto. Da quell’esperienza sono usciti giornalisti, militanti, che puoi incontrare sempre quando chi è dalla «parte del torto» prende parola.

Ha continuato a scrivere da Napoli per molti anni. Nel frattempo, la fine di un amore, nel quale aveva gettato il cuore oltre l’ostacolo. Poi la nascita di Alessandra, alla quale ha dedicato il paziente amore di cura che tutti vorrebbero avere. Anche qui ha attinto alle solide amicizie per fronteggiare difficoltà e la solitudine che spesso le madri hanno nella vita quotidiana. Continuava sempre a mandare articoli e proposte, tessendo una rete di relazioni politiche, amicizie.

Il puzzle di Napoli che andava componendo avevano un tassello mancante. Non erano i movimenti sociali a mancare, ma la loro capacità di esercitare potere. Per un po’ il suo rovello era come aprire la breccia in un sistema politico chiuso in se stesso. O colluso con la criminalità organizzata. I suoi articoli erano essenziali, ma capivi subito che le battaglie che raccontava la convincevano fino in fondo. E non faceva sconti a nessuno, se intravedeva demagogia o riproposizione di luoghi comuni. Poi la notizia. «Per un po’ di tempo non potrò scrivere. Sto male, dicono che è una cosa seria, ma non vi preoccupate, ce la farò».

Ha affrontato la malattia con la determinazione di chi vuol uscirne fuori. Sono stati tempi a corrente alternata.

«Va bene, penso di passare a Roma, è tanto che non vengo», scriveva in stringate mail. Poi un altro messaggio: «Non ce la faccio, non sto bene». Ha cominciato a diradare gli articoli. Su Facebook inviava stringati post su quanto accadeva in città. A un certo punto ha cominciato a pubblicare disegni che la ritraevano in situazioni paradossali o surreali. I racconti sulle sue condizioni parlavano di lunghi periodi a letto, di medicine da prendere, di cicli di chemioterapia, di una dieta vegetariana che poteva aiutare nella battaglia contro il cancro. Alla domanda di come cresceva Alessandra, rispondeva con divertenti aneddoti. O manifestando le preoccupazioni per un mondo che non aiuta certo a crescere bene.

Talvolta, la potevi quasi sentire ridere. Poi un lungo silenzio, fino all’annuncio della sua festa: per i primi 40 anni, scrisse. Era solare nelle foto che la ritraevano assieme alla sua famiglia allargata.

Nelle foto Francesca era splendente, anche quando la malinconia si stampava sul suo volto. Le ultime erano immagini che non appartenevano più al suo presente, fatto di dolore, rabbia per il non futuro che l’attendeva, lei che la vita amava con passione.

Un abbraccio forte fortissimo ad Alessandra, il suo gioiello.