Non è più Massimo Gramellini quello che vediamo sullo schermo, ma il personaggio di un film. Il film di Marco Bellocchio: Fai bei sogni, tratto dal romanzo molto autobiografico del giornalista della Stampa. Il regista spiega che dal momento in cui ha accettato la proposta del produttore Beppe Caschetto di girare questo film se ne è “assunto tutta la responsabilità”, anche rivisitando alcuni passaggi della storia raccontata dal testo.

Tutto parte però dalla scoperta di una vicinanza: “Nel libro – dice Bellocchio – ho trovato una tragedia umana che mi ha molto coinvolto”. Le sensibilità alla radice dell’opera cinematografica e del libro sono distanti: “Ma io non mi contrappongo al suo punto di vista – osserva – ho piuttosto uno sguardo diverso. Quando si è più giovani si ha bisogno di territori familiari, ma con la maturità si può individuare una connessione personale anche con una vicenda molto lontana da noi”. Anche l’attore che presta il suo volto a Gramellini, Valerio Mastandrea, la pensa in modo simile: “Non mi ritengo un attore in grado di interpretare personaggi reali – dice – ma il fascino di questa storia nasce per me da un approccio bipolare: non posso essere Gramellini ma allo stesso tempo ho scoperto che la sua vicenda è molto più vicina a me di quanto pensassi”.

La storia cioè di un bambino e poi un adulto “piccolo borghese” – dice Bellocchio- in una cittá, Torino, “che non conosco”, con la storia italiana di quegli anni che scorre sullo sfondo “appena accennata”. Poi ci sono i programmi televisivi dell’infanzia di Massimo – “la Carrà, le olimpiadi di nuoto, Belfagor” – “un magma, un insieme di linguaggi che caratterizza la forma, lo stile di questo film”, spiega Bellocchio.

Nel portare sullo schermo un racconto che attraversa i decenni “bisognava trovare dei punti sintetici”, dei momenti che racchiudessero in sé il senso profondo delle cose e dello scorrere degli anni: “È difficile ricreare un tempo così lungo, comporta operare delle scelte e anche delle sostituzioni”. Come ad esempio l’episodio con Fabrizio Gifuni nei panni di un affarista di tangentopoli, che nel libro non c’era. O la rivisitazione dell’esperienza di Gramellini a Sarajevo, in cui si trova a scattare delle foto opportunistiche di un bambino che gioca ai videogiochi mentre in cortile c’è il cadavere della madre appena uccisa. “In quel momento – Dice il regista – capiamo che Massimo ha completamente dimenticato la tragedia che ha vissuto da piccolo”, e cioè proprio la morte di sua madre, che pure più avanti ritornerà con violenza a tormentarlo.

La morte della figura materna riporta anche ad altri lavori di Marco Bellocchio, come L’ora di religione e soprattutto I pugni in tasca. Quel film del 1965 e Fai bei sogni, riflette il regista, rappresentano “i due assoluti” della morte della madre: “quella buttata giù da un burrone e quella santificata. Alessandro dei Pugni in tasca uccide una madre cieca, che non lo ascolta, non gli dà nulla. Tra Massimo e sua mamma c’è invece una compenetrazione assoluta”.

Bellocchio, a Cannes, rifiuta di commentare la scelta di non inserire il suo film in concorso ma piuttosto nella selezione della Quinzaine: “È un discorso molto più piccolo di quelli che riguardano il film, mi tiro fuori dal gioco. Posso solo dire che Fai bei sogni uscirà in autunno, e noi faremo tesoro delle reazioni che riceveremo durante questa esperienza”. Per ora, la stampa francese lo ha accolto con grande entusiasmo.