Nelle conferenze stampa di mercoledì i presidenti Obama e Raúl Castro hanno riconosciuto il ruolo prezioso svolto dalla Santa Sede nella trattativa che ha portato alla ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. La Segreteria di Stato del Vaticano ha rilasciato un comunicato in cui esprime «vivo compiacimento per la storica decisione» e ricorda con soddisfazione le iniziative di Papa Francesco per favorire il dialogo: le missive inviate ai rispettivi capi di Stato e l’incontro dello scorso ottobre con le delegazioni dei due Paesi. Non ci sono dubbi, dunque, sul fatto che l’azione della diplomazia vaticana, che vanta due esperti della “questione cubana” come l’arcivescovo Giovanni Angelo Becciu, nunzio apostolico di Cuba sotto Benedetto XVI, e il segretario di Stato Pietro Parolin, sia stata paziente ed efficace. Tuttavia, non si può comprendere a pieno la rilevanza di questo ultimo passo se non lo si inserisce nella storia.

Quando nel gennaio 1959 all’Avana viene proclamata la vittoria della Rivoluzione, Giovanni XXIII, insediatosi da pochi mesi, sta per avviare la propria. Siamo nel pieno dello scontro tra i due blocchi e il cardinal Tardini ha avviato il faticoso percorso dell’Ostpolitik che porterà la Santa Sede a modificare il suo atteggiamento nei confronti dell’Unione Sovietica, mettendo in secondo piano la crociata ideologica e restituendo forza alla funzione di interposizione. Il primo banco di prova della nuova strategia internazionale si presenta pochi anni dopo, una volta dichiarate le ostilità tra il governo castrista, ormai avvicinatosi al blocco sovietico, e la presidenza Kennedy, già protagonista della fallimentare spedizione clandestina della Baia dei Porci. È l’ottobre del 1962 e Roncalli, la cui credibilità si è rafforzata al Cremlino – come dimostrano gli auguri di compleanno ricevuti da Khrushchev – invia un messaggio agli «uomini di buona volontà» recapitato ufficialmente anche agli ambasciatori di Stati Uniti e Unione Sovietica. In questo documento, intriso di un linguaggio dal carattere “profetico”, il pontefice supplica i due capi di Stato di «evitare al mondo gli orrori di una guerra, di cui nessuno può prevedere le spaventevoli conseguenze». Pochi giorni dopo, le navi sovietiche in viaggio per Cuba tornano indietro. Il peggio è passato, e lo stesso Khrushchev ringrazia pubblicamente il Papa per aver contribuito a scongiurare un esito catastrofico. È in questo contesto che si devono leggere la decisione del Concilio Vaticano II di non ribadire la condanna del comunismo e il successivo impegno di Paolo VI, attraverso un diplomatico abile quale Agostino Casaroli, per rafforzare il confronto con i Paesi dell’Est Europa, favorire una soluzione per il Vietnam e concorrere allo smantellamento delle armi atomiche. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II, segnato per altri versi da un ritorno della polemica contro il socialismo reale, la “questione cubana” è rimbalzata agli onori della cronaca in occasione della visita del pontefice all’Avana nel 1998. Incontrandosi con Castro, il Papa condanna per la prima volta l’embargo statunitense e lo definisce «ingiusto ed eticamente inaccettabile». Nel 2012 Benedetto XVI ribadisce a Obama l’appello del suo predecessore: un monito accorato, ripreso nella missiva di Bergoglio, alla quale l’attuale presidente ha dichiarato di voler dare ascolto, riconoscendo, di fatto, il fallimento della politica anticastrista.

Si apre quindi una nuova stagione nelle relazioni tra Stati Uniti e Cuba che inevitabilmente avrà delle ripercussioni anche sulla Chiesa cubana, nella quale non mancano gli oppositori “di base” alla linea del dialogo con il regime. Più in generale, l’intesa tra i due paesi segna una vittoria importante per Papa Francesco che lo risarcisce delle delusioni provocate dalla ripresa del conflitto in Palestina dopo la sua missione in Terra Santa. Come aveva mostrato anche nell’impegno messo per scongiurare l’intervento in Siria, la Santa Sede punta oggi più che mai (e certamente meglio che nel passato recente) sul suo ruolo di forza di intermediazione internazionale valorizzando così un’antica vocazione che unisce alla sapienza diplomatica la carica “profetica” del cristianesimo della pace.