Ecuador, Bolivia e Paraguay. Viaggio in tre tappe di Papa Bergoglio: verso «le minoranze vulnerabili», per evidenziare «il debito» dell’America latina nei loro confronti. Domani si conclude la visita in Ecuador. Il 12 è previsto il ritorno a Roma. A settembre, il papa si recherà a Cuba e poi negli Usa e alle Nazioni unite. Questo è il secondo viaggio compiuto dal pontefice in America latina, dopo quello in Brasile nel 2013, già programmato però dal suo predecessore. Bergoglio è atterrato nella capitale ecuadoriana Quito, e ha proseguito poi per Guayaquil.

Due città i cui sindaci di opposizione stanno guidando la protesta contro il governo di Rafael Correa. L’opposizione è scesa in piazza a metà del mese scorso, quando il presidente ha annunciato di voler sottoporre al parlamento un disegno di legge per tassare l’eredità delle grandi fortune. Una misura per ridistribuire più equamente la ricchezza in un paese dove una piccolissima minoranza – ha detto Correa – detiene ancora la maggioranza delle risorse.

Benché la compagine governativa, Alianza Pais, abbia un’ampia maggioranza in parlamento, il presidente ha deciso comunque di ritirare temporaneamente la proposta di legge e ha invitato tutti i settori al dialogo. Si è però trovato di fronte all’attacco concentrico delle destre, che cercano di cavalcare i corporativismi di ogni bordo, convinti che Correa sia «autoritario e corrotto, traditore della revolucion ciudadana».
Un fronte agguerrito e pronto al colpo di stato, ha denunciato il governo, pubblicando in dettaglio le tappe di un piano destabilizzante per rovesciarlo: o comunque per rendere ingovernabile il paese e impedire la visita del papa o la sua riuscita. Già all’inizio delle proteste era circolato un video con un appello alla sollevazione rivolto alle forze dell’ordine. E tra gli ufficiali coinvolti nel golpe, risulta esserci il responsabile dell’ospedale per la polizia in cui Correa venne sequestrato per ore nel 2010.

In questi giorni, i sostenitori della revolucion ciudadana si sono mobilitati a difesa del governo. In diverse parti del paese si sono svolte numerose manifestazioni. Nella Plaza Grande della capitale le bandiere verdi di Alianza Pais hanno sfilato al grido di «Correa amigo, el pueblo esta contigo» (Correa, amico, il popolo è con te) e «Los golpistas no pasaran» ( i golpisti non passeranno). Gruppi di opposizione hanno tentato di sfondare i cordoni di sicurezza ferendo sei poliziotti, alcuni dei quali «in modo serio». Vi sono stati 311 fermi. «Sarà una settimana difficile», aveva detto Correa pur assicurando che la revolucion forte e sostenuta” ed è capace di far fronte agli attacchi.

Domenica, Correa ha ricevuto il papa a nome di tutti gli ecuadoriani «che hanno il cuore ricolmo di allegria e speranza». Intorno, una folla in abiti tradizionali e tante magliette con la foto del papa argentino. Una «geografia multicolore», frutto di una «orgogliosa e luminosa mescolanza». Una terra «che ha germinato pensieri e azioni rivoluzionarie di quanti, come lei, sono esasperati per l’ingiustizia e l’esclusione», ha detto il presidente. Parole pesate anche per ribadire le consonanze con i refrain tradizionali della chiesa cattolica: dal «diritto alla vita fin dal suo concepimento», al riconoscimento della famiglia come «nucleo fondamentale della società». Sul diritto all’interruzione di gravidanza, Correa ha sostenuto un duro scontro all’interno stesso della coalizione di governo, minacciando di dimettersi se si fosse discusso un testo di legge sul diritto all’aborto.
Subito dopo, Correa ha ricordato che quella del suo paese è la «prima costituzione nella storia dell’umanità a sancire i diritti della natura». Un altro tema di forte risonanza con l’ultima Enciclica papale, dedicata all’ambiente e alla natura e alla denuncia contro le multinazionali che la calpestano. L’economista Correa ha partecipato alle consultazioni del Vaticano per la stesura dell’Enciclica e proprio alla difesa della natura e alla lotta ai poteri forti che producono disuguaglianze, ha dedicato la prima parte del discorso di benvenuto a Bergoglio in cui ha spiegato la composizione dello stato unitario, ma plurinazionale e multiculturale.

«Il 20% del nostro territorio è protetto da 44 riserve e parchi naturali – ha detto – la gamma multicolore della nostra flora e della fauna trova complemento e ricchezza nella diversità delle nostre culture umane. Oltre a una maggioranza meticcia, abbiamo 14 nazionalità indigene con le loro lingue ancestrali, compresi popoli incontaminati che hanno scelto l’isolamento volontario, nel cuore della foresta vergine». Un discorso teso a togliere argomenti a quella parte dell’indigenismo radicale che scende in piazza con l’oligarchia. «Caro Santo padre – ha detto ancora Correa – il gran peccato sociale della nostra America latina è l’ingiustizia. Come possiamo definirci il continente più cristiano del mondo se siamo al contempo il più disuguale e mentre uno dei segni cristiani più ricorrenti nel Vangelo è quello di condividere il pane? La tradizione cristiana – ha aggiunto – non dice che la povertà privata sia intoccabile».

Durante il viaggio, mentre sorvolava lo spazio aereo della Colombia, Bergoglio ha inviato un breve telegramma al presidente colombiano Manuel Santos augurando al suo popolo «una convivenza pacifica». Un altro messaggio cordiale lo ha inviato al presidente venezuelano Nicolas Maduro: «Invio un saluto a vostra eccellenza – ha scritto – manifestando il mio affetto e la mia vicinanza al popolo venezuelano, mentre chiedo al Signore abbondanti grazie perché l’aiuti a progredire ogni giorno di più nella solidarietà e nella pacifica convivenza». Ieri, Bergoglio ha detto messa a Guayaquil, poi dovrebbe visitare bambini, infermi e reclusi. I presidenti dei tre paesi toccati dal viaggio hanno assicurato che concederanno l’indulto a diversi detenuti. Correa ha detto di essere stato ispirato dal «messaggio di riconciliazione sociale» del papa. Ha promesso «un indulto per ogni centro penitenziario, su un totale di 24» e ha già indicato un condannato a 4 anni per droga come primo beneficiario.
In Bolivia, Bergoglio visiterà il carcere di Palmasola, il più popolato e problematico del paese. Lì, nell’agosto del 2013, durante una rissa fra detenuti morirono 35 persone, fra cui un bambino di 18 mesi. La Bolivia di Evo Morales ha fatto grandi passi avanti nel risolvere le disuguaglianze sociali, ma quello delle carceri resta ancora un problema aperto. La maggioranza dei circa 5.000 reclusi è in attesa di giudizio. La visita del papa ha avuto l’effetto di accelerare circa 250 casi. Bergoglio e Morales discuteranno anche con i movimenti sociali, che si stanno riunendo a Santa Cruz nel loro secondo incontro, dopo quello che si è tenuto in Vaticano.

Ben diverse le cose in Paraguay, dove i discorsi di papa Bergoglio contro la povertà e l’ingiustizia trovano ascolto solo nelle retoriche di palazzo, ma non certo nella pratica. Dopo il golpe istituzionale contro l’allora presidente legittimo Fernando Lugo – ex “vescovo dei poveri” -, disuguaglianze sociali e impunità sono tutt’altro che diminuite. In compenso, è stata portata a termine con sei mesi di anticipo la strada che collega il Paraguay all’Argentina. Per non interferire con la politica in questo anno di elezioni, il papa non si recherà nel suo paese di origine. Migliaia di suoi connazionali si recheranno così in Paraguay per vederlo.