Contro lo sfruttamento dei lavoratori e l’idolatria del denaro, per salvarsi dal «mare insidioso dell’economia globale», bisogna ridare vigore ai valori fondativi delle imprese cooperative, alla loro originaria «funzione sociale forte». Questo in sostanza il messaggio “no-global” che Papa Francesco ha voluto dare al mondo parlando alle oltre settemila persone che hanno affollato ieri l’aula Paolo VI durante l’udienza concessa alla Confcooperative.

«Le cooperative devono continuare a essere il motore che solleva e sviluppa la parte più debole delle nostre comunità locali e della società civile», dice Bergoglio in un lungo discorso in parte scritto e in parte improvvisato a braccio. Ammonisce però il Papa che «l’economia cooperativa, se autentica», persegue «finalità trasparenti e limpide» ed è promossa «da persone che vogliono solo il bene comune». Dunque, mentre bisogna «mettere al primo posto la fondazione di nuove imprese cooperative, insieme allo sviluppo ulteriore di quelle esistenti» per costruire nuovi posti di lavoro, si deve anche perseguire una dura lotta contro la «prostituzione delle cooperative» e contro chi ne usa il «buon nome per ingannare la gente a scopo di lucro». Bergoglio si riferisce alle vicende della “mafia capitale” e a quel “mondo di mezzo” che ha infangato il mondo delle cooperative. Ma è un discorso che ha già affrontato nella Evangelii Gaudium quando, nel novembre scorso, ha criticato le teorie della «ricaduta favorevole» nel libero mercato, attirando su di sé le antipatie dei capitalisti di mezzo mondo.

D’altronde, il Papa argentino conosce bene l’«economia dello scarto» che degrada le persone a oggetti: «La regola, non dico normale, ma abituale – ricorda il pontefice – è che a molti che cercano lavoro viene detto: “Undici ore di lavoro a 600 euro. Ti piace? No? Vattene a casa, perché c’è la fila di gente che cerca lavoro”. La fame ci fa accettare il lavoro nero per fare un esempio, anche il personale domestico. Quanti uomini e donne nel lavoro domestico hanno l’assicurazione sociale per la pensione?».

Un no forte, dunque, ad «un certo liberismo che crede sia necessario prima produrre ricchezza, non importa come, poi produrre qualche politica distributiva da parte dello Stato, prima riempire i bicchieri, poi dare agli altri. Altri pensano che sia la stessa impresa a dover elargire le briciole della ricchezza accumulata, assolvendo così alla propria responsabilità sociale». Si pensa di fare il bene, ma «si continua a fare marketing senza uscire dal circuito fatale dell’egoismo delle persone e delle aziende».

Francesco poi solleva un’anatema contro il denaro che «è lo sterco del diavolo» che sa di antico. E infatti, non a caso, è una citazione di Basilio di Cesarea, ecclesiastico del IV secolo. Ma il Papa evidenzia anche, più modernamente, che l’idolatria della ricchezza «rovina l’uomo e lo condanna»,. E spiega alla Confederazione delle grandi cooprative che invece «il denaro a servizio della vita può essere gestito nel modo giusto dalla cooperativa, se però è una cooperativa autentica, vera, dove non comanda il capitale sugli uomini ma gli uomini sul capitale». In modo da cambiare volto all’economica globale e mutuarla nella «globalizzazione della solidarietà».