I colonnelli azzurri arrivano ad Arcore decisi a fermare l’ascesa di Stefano Parisi. Al termine del vertice Silvio Berlusconi, con apposito comunicato, lo incorona. Il comunicato del gran capo è chiaro: bisogna aprirsi «al contributo di chi intende condividere questo percorso politico, a cominciare dai protagonisti delle recenti elezioni amministrative come Stefano Parisi». Il prescelto non c’era. Il summit, già convocato da tempo, era limitato a chi nel partito riveste cariche. Parisi non fa né vuole far parte di quel gruppo: «Io non sono di Forza Italia. Non voglio prendere il posto di Berlusconi, solo dare una mano».

Allo stato maggiore azzurro l’intervista del giorno precedente, non concordata con Berlusconi, con cui il manager si era candidato alla guida del centrodestra non poteva piacere di meno. Erano pertanto decisi a bloccare sul nascere la corsa dell’ex candidato milanese. I colonelli si sono però trovati di fronte un Berlusconi in pienissima forma: non solo uscito bene dalla convalescenza ma lucido come nei tempi migliori. L’ex Cavaliere ha adoperato una delle sue tattiche più collaudate. Ha addormentato la platea dilungandosi sullo stato organizzativo del partito, poi all’improvviso ha affondato: «E’ ovvio che nessuno può arrivare già con le stellette di generale, però abbiamo pensato di puntare, per la riorganizzazione di Forza Italia, su un manager e su un manager vincente come Parisi. E’ quello che ci vuole in questo momento».

Le proteste sono arrivate a ruota, una dopo l’altro. Matteoli e Romani sono stati i più rigidi nel chiedere di rimettere l’ambizioso al proprio posto, più possibilisti Gasparri e Mariastella Gelmini. La palma dell’improntitudine va però senza dubbio a Toti: «Per fare politica ci vuole esperienza, ohibò!». Detto da uno paracadutato ai vertici del partito da un momento all’altro non c’è male. Berlusconi li ha fatti sfogare a volontà. Si è limitato a commentare, con punta di feroce ironia: «Attenzione: potreste dare l’impressione di avere paura». Altro che impressione: il principale motivo della resistenza è proprio il timore che Parisi abbia in mente una versione manageriale della rottamazione renziana. Al termine del giro di interventi il sommo ha come al solito proceduto come aveva deciso di fare: garantendo la propria benedizione all’ Homo Novus.

Ma chi temeva che l’arrivo di Parisi comportasse un ammorbidimento sul fronte del No al referendum, in linea con l’opzione dell’azienda a favore di una resurrezione del Nazareno, è stato immediatamente rassicurato. Su quel piano Berlusconi non ha più nessun dubbio. Durante la campagna elettorale per le comunali aveva evitato ogni esposizione a favore del No. Ora invece è deciso a spendersi al massimo. Non significa che miri a scomunicare i vertici dell’azienda. Vuole muoversi su un doppio binario: lasciando tutto lo spazio alla diplomazia Mediaset ma senza appiattire il partito su quelle posizioni. Di una cosa, infatti, Berlusconi è certo: la strada per tornare al tavolo delle trattative politiche partendo da una posizione di forza passa per la sconfitta di Renzi. Per quanti sforzi possa fare il Pd cercando di restaurare il gioco di sponda con il partito azzurro, e nei giorni scorsi ne ha già fatti molti dal cedimento sulla tortura al voto contro le intercettazioni nel processo Olgettine, la linea di Fi non cambierà di un millimetro sino al referendum. Poi si tratterà di una partita completamente nuova, il cui esito più probabile sono comunque elezioni nella primavera 2017. Il Berlusconi per l’ennesima volta redivivo sa che non c’è tempo da perdere.