Il disastro è storico, la «trumpata» è una botta forte, ma la sinistra non renziana si risveglia ringalluzzita dalla vittoria di Trump. Che finisce per essere l’occasione di un ricompattamento dell’ala gauchiste del fronte del No.

Inizia Pier Luigi Bersani in mattinata, intrattenendosi con i cronisti alla Camera: «La mucca nel corridoio sta bussando alla porta», avverte. La metafora è nota solo agli appassionati del genere. Nei giorni scorsi l’ex segretario Pd aveva parlato di «una mucca nel corridoio», per significare, nel consueto bersanese, il malessere popolare e il pericolo delle destre montanti. Quella volta si era attirato la consueta salva di sfottò dal fronte del Sì.

Stavolta invece fra i suoi avversari interni tira un’aria diversa. Un’ariaccia. Bersani insiste: sarebbe stato meglio Sanders, l’anziano leader socialista, «il centrosinistra si dia una mossa, esca dal blairismo frou frou e tiri su delle bandiere di protezione, degli interessi che vuol difendere e dei concetti di uguaglianza». L’ex segretario accusa Renzi e i suoi di scherzare con il fuoco e di favorire il populismo xenofobo e razzista di casa nostra: «Ho sentito il vicesegretario Serracchiani che il giorno dopo avere perso Pordenone, Trieste, Monfalcone si prendeva la briga di discutere su quel che devo fare io al referendum».

Bersani scommette sulla vittoria del No e sul successivo smottamento interno al Pd. Intanto oggi lo shock nel partito è tale che per la prima volta dal fronte del Sì contro di lui non partono i consueti sberleffi. In realtà nella mattinata sui social network qualche voce aveva provato a usare la sberla americana a vantaggio della vittoria del Sì. Con il risultato di cadere in contraddizioni impacciate, e di finire di fatto con il prendersela proprio con quel Sanders che fino a domenica pomeriggio, alla Leopolda di Firenze, Renzi aveva descritto come l’esempio di correttezza partitica. «Per quelli che ’spostiamo l’asse più a sinistra’… poi si svegliano con Trump», twitta infatti il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. L’ex consigliere regionale Bruno Astorre si spinge a descrivere Renzi come la versione buona del Trump italiano: «Gli Stati Uniti hanno scelto di cambiare. #Bastaunsì per cambiare l’Italia. In meglio», ma poi qualcuno gli fa notare la gaffe e cancella. Stavolta dunque sono pochissimi a prendersela con l’ex segretario. Del resto da Palazzo Chigi la cautela è massima: Trump ha fatto tesoro degli attacchi contro di lui, per evitare lo stesso effetto ora tutta la comunicazione del Sì dovrà essere ricalibrata.

Nel frattempo invece la sinistra, interna ed esterna al Pd, impegnata nella campagna del No, alza la voce anche per non essere schiacciata dall’esultanza di Grillo e di Salvini. Con un occhio al dopo. Intanto, ed è una novità, riesce a dire una cosa comune: era meglio Sanders. «Dopo il voto sulla Brexit, la vittoria di Trump conferma che il fronte unico dell’establishment contro l’avanzata dei ’populisti’ è una scelta suicida», attacca l’ex Pd Alfredo D’Attore, ora in Sinistra italiana. «La sinistra e i progressisti devono capire che questa globalizzazione trainata dalla finanza non è più difendibile. Accresce a un livello intollerabile le diseguaglianze, aggrava la svalutazione del lavoro e spinge settori crescenti del ceto medio impoverito verso un voto di protesta e paura». Nel week end D’Attorre sarà uno dei protagonisti a Roma di una tre giorni organizzata dall’ala dialogante della sinistra, presenti D’Alema e Cuperlo e persino il sindaco di Napoli De Magistris.

Le parole di Bersani sono «un fatto nuovo»: lo nota anche Nicola Fratoianni, dell’ala più radicale dello stesso partito in progress (il congresso fondativo di Si è in calendario per febbraio 2017). «Bene, soprattutto se si prende consapevolezza che i problemi di cui discutiamo sono presenti da anni e si sono aggravati con il governo Monti nel 2011», dice, e «fa un appello «a Pierluigi e a tutti coloro che nel campo della sinistra e dei democratici voteranno No»: «Già dal 5 dicembre si chiuda definitivamente la stagione della sinistra che scimmiotta la destra liberista. Anche perché dopo Trump, all’orizzonte si staglia Marine LePen».