Il grande comico americano W.C. Fields lo aveva definito «l’uomo più divertente che ho mai visto e l’uomo più triste che ho mai conosciuto». Ron Magliozzi, curatore del Museum of Modern Art, lo considera un talento pari a Charlie Chaplin o Buster Keaton. In una carriera che lo ha portato dalle Bahamas, dove era nato nel 1874, al teatro californiano, al circuito del vaudeville newyorkese, a Broadway, dove fu la prima star nera di un musical ad apparire nelle Zigfield Follies, Bert Williams non ha recitato in molti film. Ancora meno numerosi sono quelli che sono sopravvissuti. Dopo quasi un decennio di paziente ricerca e un complesso procedimento di restauro, il MoMa presenta la ricostruzione di un film mai distribuito di Williams, che è anche considerato il primo esempio di lungometraggio con un cast interamente afroamericano.

Parte della dodicesima edizione di To Save and Project l’annuale festival che il Museo d’arte moderna dedica alla preservazione del cinema, 100 Years in Postproduction: Resurrecting a Lost Landmark of Black Film History combina una mostra e la proiezione di 55 minuti di girato da Bert Williams Lime Kin Club Field Day, una commedia dalla durata prevista, sembra, intorno ai 34/40 minuti, girata nel 1913, ma mai portata a termine o arrivata in sala. Il MoMa era entrato in possesso dei sette rulli di 35mm nel 1939, quando Iris Barry, fondatrice del dipartimento cinema del museo, aveva acquisito 900 negativi non ancora stampati della Biograph, lo studio newyorkese da cui sono emersi oltre che D.W. Griffith e Mac Sennett, alcune delle prime star hollywoodiane, come Mary Pickford Lionel Barrymore, Mabel Normand e Lillian Gish, e che aveva cessato la produzione nel 1917.

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La presenza di Williams nei materiali era stata notata nel 1976, ma i sette rulli – un insieme di girato del film e backstage della lavorazione- non avevano un titolo, un anno di produzione o credits che li identificassero. È dal 2004 che Magliozzi lavora alla ricomposizione del puzzle legato a questo documento rarissimo e affascinante, interpretato, oltre che da Williams, da un cast di quasi cento attori, molti dei quali noti all’epoca, parte di un unico gruppo di teatro di Harlem, e che sono stati identificati, uno per uno, paragonando le immagini del film alle fotografie e alle cronache cultural sociali, che apparivano per esempio in The Age, il quotidiano afroamericano del quartiere.

Assemblato in modo libero, che rispetta l’ipotetica progressione drammatica della trama ma che ha permesso l’inclusione di ciak multipli di alcune scene e di momenti di interazione tra cast e troupe, il girato che abbiamo visto è insolito per tante ragioni. Non solo si tratta di una produzione interraziale (due registi bianchi e uno afroamericano), ma il tono comico e l’ambientazione riflettono una rappresentazione della realtà afroamericana molto diversa da quella del cinema d’epoca.

Williams (che aveva la pelle chiara di molti afrocaraibici e all’epoca era già una grossa star del vaudeville) appare in black face, il make-up nero classico della tradizione ottocentesca dei ministrel show (Spike Lee aveva dedicato a quegli stereotipi razzisti il suo incompreso Bamboozled) ma la maggioranza del cast adotta invece uno stile di recitazione realistico. È una combinazione che sembra suggerire la volontà di superare le caratterizzazioni caricaturali imposte ai personaggi afroamericani, ma la consapevolezza di quanto fossero ancora popolari, anche all’interno della comunità nera.

Diverso dal solito è anche il milieu sociale in cui è collocata la storia. Si tratta infatti di una comunità middle class, che appare variegata, complessa, e che vediamo in un giorno di festa, giosamente impegnata in intrattenimenti vari – una gara di corsa, un pranzo a base di pollo fritto e gelato, una parata con banda, una gara per chi mangia più in fretta l’anguria, un giro sulla giostra, un incontro di lotta con maiali e una lunga danza tradizionale… Al centro della trama, Williams è deciso a conquistare le grazie di una bella ragazza (Odessa Warren Grey che non are un’attrice ma una nota modista dell’epoca). I suoi due rivali in amore vengono surclassati quando il nostro protagonista, dopo aver fatto cadere per sbaglio un bottiglione di gin nel pozzo, vende l’acqua alcolica che ne risulta come prodotto di una fonte miracolosa.

Tratto da una raccolta di racconti comici (Brother Gardner’s Lime Kiln Club) il film sembra avere tre finali ipotetici, due dei quali includono lungo bacio tra Williams e la ragazza. Altra immagine inedita per quell’epoca, in cui la sessualità tra uomini e donne afroamericani al cinema non era praticamente permessa, come anche la rappresentazione di sentimenti romantici. Non sapremo mai quale dei tre finali sarebbe stato scelto visto che la postproduzione del film non è mai stata portata a termine. «Non era abbastanza razzista», ha dichiarato Ron Magliozzi durante la presentazione del girato. The Birth of a Nation, di D.W. Griffith, sarebbe uscito due anni dopo le riprese di Bert Williams Lime Kiln Club Field Day.