Lui non c’è, preso dalle convention e dai fuochi berlusconiani della campagna elettorale romana. L’ex capo della Protezione civile ed ex sottosegretario Guido Bertolaso, ora in corsa per il Campidoglio, non s’affaccia, a L’Aquila, al processo denominato Grandi Rischi bis in cui è imputato di omicidio colposo plurimo e lesioni per il terremoto del 6 aprile 2009. Questa è la seconda udienza di un procedimento penale arrivato in aula sette anni dopo la catastrofe e che il 6 ottobre prossimo cadrà in prescrizione. Nonostante i tempi siano stretti, irrisori, il giudice Giuseppe Grieco se la prende comoda, molto comoda, perché – spiega – «da seguire ci sono casi anche più importanti di questo. Capisco la valenza mediatica della vicenda ma io sono l’unico giudice monocratico di questo tribunale e seguo circa 800-1.000 processi. E dunque decide un rinvio al 21 giugno (il 12 si vota a Roma). Arrivederci all’estate: stesso tribunale, stesse accuse, stessa rabbia.

Rigettate le richieste dei legali delle vittime di acquisire, in dibattimento, come prova, anche le registrazioni video e le telefonate intercorse tra Bertolaso ed altri membri dell’ex commissione Grandi Rischi. Bisogna accertare se nella condotta di Bertolaso sia ravvisabile una forma di «cooperazione colposa» – come l’ha definita negli atti il procuratore generale Romolo Como – «un comportamento che fa parte di quella catena, di cui Bertolaso sarebbe il primo anello, che ha portato a causare la morte di chi avrebbe potuto salvarsi attuando un atteggiamento più prudente». Si tratta di un processo parallelo a quello che ha visto i sette esperti della Grandi Rischi, organo scientifico consultivo della presidenza del Consiglio dei ministri, condannati in primo grado a sei anni di carcere per aver falsamente rassicurato la città dell’Aquila alla vigilia del sisma, e poi assolti in appello e in Cassazione (tranne uno di loro, Bernardo De Berardinis). Il processo satellite intende chiarire se i componenti della Cgr rilasciarono le dichiarazioni che li hanno portati alla sbarra perché indotti a farlo proprio da Bertolaso. L’inchiesta è partita dopo la diffusione di una telefonata di Bertolaso con l’allora assessore alla protezione civile della regione Abruzzo, Daniela Stati.

Nella conversazione Bertolaso evidenziava che la riunione della Grandi Rischi del 31 marzo era soltanto «un’operazione mediatica» volta a «tranquillizzare la gente». Ed infatti gli scienziati, al termine dell’incontro, dissero che la sequenza sismica in atto da mesi non preannunciava disastri imminenti e che si poteva restare al sicuro in casa. Invece il dramma si consumò di lì a poco. Ciò nonostante per il giudice Grieco «non è un processo prioritario». Ed ecco, nell’atrio del tribunale, scoppiare la protesta che si era fino a quel momento limitata all’esposizione di un adesivo giallo: «Verità per la strage».

Le parole di Grieco fanno infuriare il medico e consigliere comunale Vincenzo Vittorini, che nella tragedia ha perso la moglie e la figlioletta. La sua rabbia esplode. «È una farsa – urla -. Si tratta di omicidio di Stato e quindi non è vero che questo processo è uguale a tutti gli altri. Bisognava fare un’udienza dietro l’altra, ogni venerdì, non una prima dell’estate e una dopo. La Procura ci ha fatto perdere quattro anni, con tre richieste di archiviazione a cui ci siamo puntualmente opposti. Ora si rischia di non arrivare a sentenza». E, rivolto all’avvocato di Bertolaso, Giuseppe Di Napoli: «È un bugiardo, caro avvocato, il suo assistito. Ha fatto scrivere su tutti i giornali che oggi avrebbe rinunciato alla prescrizione e non l’ha fatto». E in effetti, Bertolaso rinuncerà alla prescrizione? O è soltanto un’altra operazione mediatica?