Nel ginepraio siriano, e a seguito del raffreddamento apparente avvenuto dopo la reazione di Ankara al tentato golpe, ieri il vicepresidente Usa Joe Biden in visita da Erdogan ha confermato un dato certo di cui in molti forse si erano dimenticati: l’alleato degli Usa è la Turchia.

Questo dato si staglia in un quadro nel quale la minaccia dell’Isis è stata utilizzata da tutti gli attori per perseguire proprie politiche di potenza, parallele, per procura, per intercessione, dagli Usa ad Assad, da Erdogan a Putin. Gli unici che hanno combattuto davvero Daesh per difendere la propria idea di società democratica, socialista e femminista sono stati i kurdi del Rojava che non a caso risultano essere gli attuali «sacrificabili» da un bieco gioco di alleanze, rotture e di nuovo alleanze.

Non è un caso dunque se in questa situazione in cui tutto il «gioco» siriano sembra andare contro il Rojava proprio Biden ha intimato ai kurdi di fermarsi: «Se non rientrano a est dell’Eufrate», ha specificato Biden, «non avranno il supporto degli Stati uniti». Supporto che va ricordato era arrivato solo in seguito alla lotta, l’unica all’epoca, dei kurdi contro l’Isis e che fu sempre considerato, ovviamente, momentaneo. Ma ora che gli equilibri si fanno via via più complicati, qualche attore deve cominciare a perdere, perché non possono vincere tutti. E la prima vittima designata, dopo la popolazione siriana condannata a un’esistenza terribile, è il Rojava.

Tutti sono concordi: la Russia che li ha snobbati, Damasco che li ha bombardati, la Turchia che ne fa naturalmente un «bersaglio fisso» non certo dall’inizio del conflitto siriano, ma storicamente e gli Usa che vedono come proprio alleato principale nell’area proprio Ankara. Siamo di fronte al trionfo maleodorante della geopolitica, della politica di potenza che prosegue nel suo corso insensato a livello umanitario.

Ieri Joe Biden è stato chiarissimo, anche nella sua valutazione dei recenti eventi turchi. La cosa non stupisce: gli Usa rimescolano nel torbido e non da oggi, e per tutto valga il rapporto con l’Arabia Saudita. Cosa sarà mai dunque avere a che fare con il novello sultano Erdogan? «La Turchia – ha detto Biden – ha promesso di rispettare lo stato di diritto» nelle iniziative a seguito del fallito golpe «e io credo in questo impegno. Ricordate la confusione dopo l’11 settembre? Diamogli tempo».

Biden si è pure espresso sulla vicenda Gulen, confermando la forte condanna di Washington del golpe, ribadendo «l’incrollabile sostegno» degli Stati uniti per la Turchia. Ed è apparso persino «irritato», secondo le agenzie, nel rigettare teorie complottiste che circolano in Turchia riguardo un ruolo americano nella sua preparazione.

Il sostegno degli Usa alla Turchia è «deciso», ha aggiunto, facendo riferimento in particolare alla minaccia terroristica. La visita di Biden, ha detto invece il premier turco Yildirim, «elimina incomprensioni e speculazioni sulle relazioni turco-americane e dimostra che l’America è solidale con il popolo turco».