La tenda per Bilal Kayed è stata eretta in Piazza della Mangiatoia di Betlemme, a poche decine di metri dalla Chiesa della Natività, tra gli sguardi curiosi dei turisti. Al suo interno ci sono i rappresentanti del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) e di altre forze politiche palestinesi, il coordinatore dei Comitati popolari Munther Amera, una ex detenuta Ahlam Wahsh, amici e familiari di prigionieri politici e decine di ragazzini. Non sorprende che tante persone, di generazioni diverse, siano confluite alla tenda per Bilal Kayed. La vicenda di questo detenuto, in sciopero della fame da 42 giorni, ha colpito tutti i palestinesi. Originario di Asira a-Shamaliya (Nablus), arrestato nel 2002 perchè presunto membro delle Brigate Abu Ali Mustafa (l’ala militare del Fplp), Kayed ha scontato interamente la sua condanna a 14 anni e mezzo di carcere, l’ultimo dei quali passato spesso in isolamento. A giugno è arrivato il giorno del rilascio ma Kayed non è riuscito ad assaporare la libertà. I giudici militari israeliani hanno prontamente emesso nei suoi confronti un ordine di sei mesi di “detenzione amministrativa”, senza processo e accuse precise. E Kayed è tornato in cella dove ha cominciato uno sciopero della fame in segno di protesta. In suo sostegno da qualche giorno digiunano altri 48 prigionieri palestinesi.

La detenzione amministrativa è una sorta di “custodia cautelare” di lungo periodo, rinnovabile di sei mesi in sei mesi, che risale al periodo del Mandato Britannico sulla Palestina e che Israele ha assorbito nel suo codice. È quasi superfluo ricordare che viene applicata quasi esclusivamente nei confronti dei palestinesi anche se di recente ha riguardato alcuni coloni israeliani coinvolti nelle indagini sul rogo di Duma in cui un anno fa morirono il piccolo Ali Dawabsha e i suoi genitori. Il 10% dei circa 7000 palestinesi in carcere in Israele sono “amministrativi”. Alcuni di essi si sono visti rinnovare più volte l’ordine di detenzione. «Chiediamo all’Europa, alle Nazioni Unite, ai governi e ai popoli del mondo intero di intervenire su Israele per mettere fine alla pratica illegale della detenzione amministrativa», esortava ieri uno dei tanti intervenuti all’iniziativa a sostegno di Bilal Kayed e anche di altri prigionieri in sciopero della fame da settimane come i fratelli Muhammad e Mahmoud Balboul, Malik al Qadi e Ayyad al Hireimi.

I palestinesi non hanno ancora compreso che quei governi, le istituzioni europee ed occidentali alle quali si rivolgono chiedendo di far rispettare i diritti fondamentali dell’uomo nei Territori occupati, guardano sempre di più al “modello israeliano” dopo gli attentati sanguinosi di queste ultime settimane attribuiti o rivendicati dallo Stato islamico. «L’Europa deve scegliere tra la libertà e la sicurezza», ci diceva la settimana scorsa a Tel Aviv Haim Tomer, un ex capo divisione del Mossad spiegandoci come va risolto il «problema terrorismo»: arresti arbitrari e interrogatori di centinaia e centinaia di persone fino ad individuare «potenziali terroristi». Poco importa se gli arrestati, in buona parte, sono estranei a tutto. «Gli arresti comunque valgono come deterrenza», ci diceva Tomer. E’ quello che avviene nei Territori palestinesi occupati da 49 anni. Ai governi e a tante delle forze politiche della democratica Europa piace sempre di più, molti lo invocano come «l’unica risposta possibile al terrorismo». Nessun governo occidentale muoverà un passo per Bilal Kayed, una prova dell’efficacia di un modello di negazione di diritti sempre più ammirato ed evocato.