Cosa significa difendere l’attualità delle filosofie del passato? Certo non vuol dire giudicarle in base alla moda, e nemmeno per la loro capacità di essere up to date, conformandole per forza alle domande del presente. Significa piuttosto preservare la ricchezza di senso che esse continuano ad avere per noi: e il lavoro di Remo Bodei – con la sua attenzione al depositarsi e consolidarsi di quei «cristalli di storicità» che nei secoli hanno dato forma alla cultura europea – costituisce da tempo, sotto questo aspetto, un modello esemplare. Lo conferma la riedizione di Scomposizioni Forme dell’individuo moderno: studio che aveva visto la luce presso Einaudi nel 1987, e che ora viene riproposto in edizione accresciuta dal Mulino (pp. 450, euro 30,00).
Non si tratta però di un semplice restyling o di un aggiornamento bibliografico, anche se da questo punto di vista gli «intarsi» sono tutt’altro che trascurabili. Oltre e ben più dello stato dell’arte, infatti, quel che è profondamente mutato nei quasi trent’anni che ci separano dalla prima edizione è – se così si può dire – nientemeno che lo stato del mondo. Bodei sa bene che cosa ciò possa significare per la ricerca filosofica: «Quando gli apparati di senso con cui interpretiamo e costruiamo concetti e ragionamenti subiscono profonde metamorfosi nel corso degli eventi, la filosofia ha il dovere di ridisegnare ed esplorare la deriva e le faglie di quei continenti simbolici su cui poggia il nostro comune modo di pensare, immaginare e sentire». Essa deve cioè mettere a punto nuove «mappe mentali» in grado di tutelare la memoria culturale e insieme di favorire l’orientamento nel presente.
Scomposizioni è anzitutto uno studio della complessa e stratificata vicenda intellettuale della cosiddetta Età di Goethe: un’epoca decisiva per la cultura europea, in cui pur tra mille incertezze e contraddizioni «la coscienza si inoltra nel suo cono d’ombra, si abitua a vedere al buio, si arricchisce di sfumature e sperimenta ardite variazioni di se stessa». Al centro dell’indagine di Bodei è così la nascita di architetture del sapere e di moduli espressivi nei quali si è in buona parte plasmata la nostra idea di individualità dopo la Rivoluzione francese, e in cui è possibile già scorgere le tracce di quelle «patologie» culturali che investono l’uomo moderno fino alla contemporaneità.
Una trilogia di studi
Oggi peraltro (lo ricorda l’introduzione) il libro richiede di essere collocato nel percorso costituito da una trilogia di studi, che a Scomposizioni affianca altri due importanti risultati della vasta produzione dell’autore. In Geometria delle passioni (1991) Bodei conduceva un’analisi del binomio passione/ragione: il cui rapporto conflittuale, destinato a segnare un grave scacco etico nella cultura europea fino ai nostri giorni, costituisce un tema decisivo per il definirsi del soggetto dall’età post-cartesiana alla tarda modernità. In Destini personali (2002), quella stessa individualità veniva saggiata nel momento in cui all’anima (sostanziale, immortale) subentra un io (plurale, dissolvibile) costituito da una «molteplicità originaria e discreta di poli di coscienza»: di qui l’interesse, in quel volume, per autori quali Pirandello o, più limitatamente, Pessoa. Oscillando fra i limiti imposti da forme di organizzazione o di repressione più o meno nuove e l’altrettanto inedita relativizzazione degli imperativi stabiliti dalle agenzie morali tradizionali, le libertà – presunte o reali – che oggi l’individuo sperimenta (e che sembrano spalancare al suo desiderio orizzonti fino a poco tempo fa inimmaginabili, in termini di cibo, sesso, evasione reale o virtuale), determinano per contro dimensioni sinora ignote di condizionamento, manipolazione, esercizio del potere: e con ciò una progressiva disarticolazione della personalità.
La nuova edizione di Scomposizioni conferma in pieno la diagnosi. Nell’uomo contemporaneo è come se a prevalere fosse una «coscienza modulare»: un modello di soggettività che non avverte più alcuna esigenza unitaria profonda e smette di interagire con entità e aggregazioni più ampie e complesse di quelle, limitate, che ne toccano direttamente l’esistenza. A fronte di un desiderio – talora bulimico – di fare «esperienze» sempre nuove e diversive, una soggettività autoreferenziale di questo tipo non ha dunque la capacità di «capitalizzarle»: ignora cioè l’esperienza autentica, che consiste «nel ritornare a sé arricchita dal consegnarsi ad altro» (come scrive Bodei parafrasando Hegel) e non nel disperdersi tra cose, emozioni, sollecitazioni sempre nuove.
In che cosa consiste allora la sfida di un libro come Scomposizioni? Mettiamola così: negli ultimi decenni del secolo scorso, la filosofia ha guardato a volte con entusiasmo alla cosiddetta crisi del soggetto, magari celebrandola in termini enfatici, emancipativi e progressivi. Si è però trovata ben presto a fare i conti con la necessità di arginare le conseguenze estreme di quella dissoluzione, magari riscoprendo o riabilitando (per esempio in un autore come Foucault) tecnologie del sé o istituzioni capaci di compensare il bisogno insoddisfatto di trovare un senso per le nostre vite. Ebbene, in un’epoca in cui prevalgono modelli di razionalità incapaci di costituire una seria alternativa all’ideale tramontato della Bildung (cioè della «formazione» individuale e collettiva), Bodei sceglie di difendere la strada della complessità, ripercorrendo le vicende intellettuali e gli ideali scientifici di autori come Kant, Fichte, Hegel, Hölderlin, Novalis o Goethe. Le loro risposte, spesso cariche di ambiguità, costituiscono infatti modi esemplari di reagire a quella «contraddizione sempre crescente» (come recita l’incipit del frammento giovanile di Hegel da cui si sviluppa, come da un nucleo germinale, tutto il libro) che ai loro occhi oppone i grandi eventi della Storia alla dimensione ristretta della vita privata, il noto all’ignoto, la natura alla libertà.
Interrogativi urgenti
Alla fine di questo percorso, l’ampia ricognizione storica può così ritornare su interrogativi davvero attuali e urgenti: «Come sostenere attraverso la politica e la riorganizzazione del sistema educativo l’auspicato sorgere di un genere di individualità meno disgregata e dispersiva»? Come resistere a un modello puramente strumentale di razionalità, o alla sua variante impolitica, la «ragion cinica» portata al centro del dibattito filosofico da Peter Sloterdijk? Come «misurarsi fruttuosamente con modelli di civiltà che non accettano il nostro paradigma di individuo»? Nelle pagine conclusive di Scomposizioni, tali domande convergono nella questione, più generale, se sia ancora possibile lavorare alla costruzione di un’etica all’altezza delle contraddizioni che attraversano il nostro tempo. Un’etica intesa dunque non in senso normativo o prescrittivo, bensì capace di contribuire alla produzione di un tessuto reale e condiviso, appropriato al nostro presente.
In tutto questo, rimane certo da stabilire a quale ruolo effettivo possa ancora legittimamente aspirare la filosofia. Nell’autunno del 1808, Hegel scriveva in una lettera: «Il lavoro teoretico produce di più nel mondo che non il pratico: rivoluzionato il regno della rappresentazione, la realtà non tiene più». Al cospetto di un presente in cui ogni iniziativa sembra muoversi in spazi illusori e in cui perfino la cultura alta pare confinata in posizione ancillare o ridotta a puro evento mediatico, è probabile che il richiamo a un’affermazione come questa possa suonare a dir poco obsoleto. Ma per citare un’altra metafora hegeliana cara a Bodei, la talpa dello spirito potrà continuare a scavare davvero solo se tornerà a credere almeno un poco nella chance di un’esistenza non del tutto frammentaria. A confidare cioè in un’individualità che non si limiti a raccogliere i cocci dispersi negli «immediati dintorni della propria esistenza».