«In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto». Così affermava Antifonte, filosofo greco del V secolo a.C.. Gli fa eco, negli anni Cinquanta del secolo scorso, Gaston Bachelard che, nel suo L’intuizione dell’istante, afferma: «È il pensiero che conduce l’essere. È per mezzo del pensiero, oscuro o chiaro, per mezzo di ciò che è stato compreso, e per mezzo soprattutto di ciò che è stato voluto, che gli esseri trasmettono la loro eredità».

Ciò che è stato compreso e ciò che è stato voluto dunque, costituiscono l’intento di trasmettere una eredità, una memoria di se stessi. Nella riflessione dell’epistemologo francese, maestro di Canguilhem e di Foucault, è il pensiero poetico che conduce l’essere, che costruisce la nostra idea del mondo dentro e fuori di noi; è il pensiero che Aristotele chiama nous poetikos o intelletto agente; si organizza attraverso quella forma particolare di immaginazione che si sviluppa durante una rêverie.

Al contrario della pura fantasia, infatti, la rêverie recupera la nostra relazione col mondo come insieme di fenomeni, poiché deriva dal confronto tra la nostra immaginazione e la realtà essenziale delle cose, a partire dall’immaginare la metamateria della quale è fatto il nostro stesso corpo. Quando il mago Prospero ne La tempesta di Shakespeare dice la famosa frase: «Siamo fatti delle stessa materia con cui sono fatti i sogni», forse si riferisce proprio alle rêverie delle quali Bacherald ha studiato il potere di generare la nostra realtà corporea, o almeno la percezione che di essa abbiamo.

La rêverie si chiarisce infatti come «un particolare atteggiamento dell’Io che, dimentico in un momento di grazia della propria identità contingente, si abbandona all’immaginazione fantastica con una libertà simile a quella del sogno, pur restando tuttavia in stato di veglia».

Tramite l’immagine poetizzante si diventa dunque creatori di se stessi – soma/sema potremmo dire – e così si può pensare anche di intraprendere azioni in opposizione alle forze materiali che, negando la nostra esistenza personale come nel caso di una malattia, stimolano un processo di guarigione attraverso la funzione ri-creatrice dell’Immagine. Questa visione, apparentemente filosofica, visionaria, del ruolo che nella nostra esistenza giocano le immagini poetiche, e dunque le forme artistiche, ha trovato nei secoli ampie testimonianze della sua fattiva capacità di rafforzare i processi di reazione nei confronti di quelle patologie che nascono da un deficit del sistema immunitario, come testimoniano queste esperienze artistiche del tutto originali nate da malati di AIDS.

Le testimoni

«Il mio nome è Elizabeth Sangu. Ho lasciato il mio villaggio nel 1995, dopo che mio marito era stato trasferito per lavoro a Dar es Salaam. Era la prima volta che viaggiavo su un autobus e non avevo mai visto così tante macchine in tutta la mia vita. Ho finalmente ritrovato mio marito dopo due anni di separazione. Il suo nome era Lucas Ponamali. Il suo cognome significa «La morte sta arrivando». Ho vissuto con mio marito solo per un breve periodo di tempo. Morì nel 1996. Nel 2000 ho deciso di avere una relazione con un altro uomo. Nel 2002 sono rimasta di nuovo incinta. Quando mio marito morì non sapevo che era morto di AIDS così mi sono fatta il test, come si usa qui in Tanzania. Sono andata in ospedale e mi hanno detto che era sieropositiva e che non potevo allattare al seno. Sono rimasta scioccata, avevo paura di condividere queste informazioni con qualcuno. Ho pensato che tutto questo significava morte e che la gente avrebbe avuto paura di me. Sono andata in depressione, perché ero ancora abbastanza forte e bella. Ho dato alla luce il 2 maggio 2003 per una bambina ed ero così felice. Ma dopo il parto la mia salute si è deteriorata molto. Dopo la nascita è cominciato un periodo di difficoltà e lotte. Stavo gestendo una piccola impresa che sforna chapati e vendevo molto. Ma la gente poteva vedere i cambiamenti su di me e hanno smesso di comprare. Quindi, procurarsi il denaro per ottenere il cibo era difficile. A causa della malattia e della denutrizione ho iniziato a sviluppare infezioni opportunistiche, continuamente. E i miei figli? Potrei morire in qualsiasi momento e li lascerò orfani. Il loro padre è già morto e forse anche l’altro mi seguirà tra poco. A volte ho pensato al suicidio. Ma ciò che è stato più doloroso per il mio cuore è che ho infettato la mia bambina. Allora ho cominciato a disegnare la mia Body map, la mia mappa del corpo, con le mie zone di forza e quelle di maggior debolezza. Sopporta con dignità mi sono detta: sulla mia mappa del corpo è centrale la parola «utu», che in swahili, la mia lingua, significa la dignità di una persona. Tutte le persona che mi danno sostegno fanno ciò che fanno perché sanno che io sono un essere umano e mi apprezzano come persona. Oggi tutti sanno che se io sono sieropositiva, ma anche che sono un essere umano. Se mi è stata data la possibilità di diffondere la mia storia per inviare un messaggio vorrei dire alla tutti: vivete positivamente!»

Jane

«Il mio nome è Jane, vengo da Trinidad. Il mio punto di forza è il punto rosso in gola. È come un uovo con il fuoco. Quando ero bambina non avevo paura di parlare. In una società in cui i bambini dovevano essere tranquilli, io parlavo senza paura. Poi mi sono ritrovata a parlare per gli altri, al fine di aiutarli. Sto parlando di persone confinate negli ospedali, altri sieropositivi come me. Mi vedo come un essere molto forte; è questa forza interiore che voglio scaturisca dalla mia mappa. C’è nel disegno della mia mappa del corpo una corda di fibra naturale che viene utilizzato per costruire la jupa (la nostra capanna tradizionale). L’ho scelta come simbolo centrale perché mi aiuta ad alzarmi. Il mio slogan è «Anche questo passerà». Lo dico sempre. È per questo che sono ancora qui oggi. Al villaggio eravamo abituati a usare i colori fondamentali per dipingere il corpo durante i riti di passaggio: la nascita, la pubertà, la morte, così nella mia mappatura del corpo ho usato molto il colore rosso e il colore nero. Perché, quando stavo usando il colore rosso, stavo mostrando le cose che mi fanno stare male, quelle che mi danno dolore fisico, mentre il nero è oscurità, il buio dell’anima in solitudine. Quando sei solo, quando la sieropositività ti isola, sei sempre nel buio. La società cerca di non vederti come un essere umano. Con questo colore ho dunque disegnato sulla mia mappa corporea anche le discriminazioni, il linguaggio offensivo usato verso di me. Quando ho riguardato la mappa mi sono accorta di aver disegnato in qualche modo anche la relazione con i mie figli; per loro ho usato il colore verde e, per la prima volta da tanto tempo, ho usato anche il colore giallo; vedete, il giallo è un simbolo del sole. Il sole può brillare su di voi, anche se siete sieropositive e discriminante».

Irene

«Ciao, il mio nome è Irene, nata e cresciuta a Sikhendu villaggio Kimilili, Kenya. L’angolo in basso a sinistra del mio corpo è la mappa dei giorni della prima infanzia. I miei genitori avevano una fattoria con una varietà di animali e piante. La mamma aveva un bellissimo giardino di fiori intorno alla casa. Le frecce che partono dal mio glorioso corpo mistico, quello verde, portano al mio credo spirituale, alla speranza, simboleggiata dalla colomba con un nastro rosso. Questo simboleggia la liberazione e il perdono di Dio. In fondo al mio fianco/intestino, ho disegnato una piccola borsa come punto di potere che indica la donna forte di volontà, sicura e assertiva, come sono io. Il mio simbolo personale è il segno della pace. Sulla mia mappa corporea, il virus è centrata nello stomaco. Questo è stato il primo sintomo che mi portato alla diagnosi. Nell’autunno del 1996, ho cominciato ad avere forti dolori allo stomaco. Ho informato il medico che ero un portatore di anemia falciforme e la sua risposta è stata: «facciamo un test HIV». Ho subito accettato. Al mio incontro di follow-up, il medico mi ha detto: «Ho una brutta notizia. Sei sieropositiva». A questo punto mi sono bloccata e ho cominciato a guardare nel vuoto. Ero sotto shock, mentalmente ho cominciato a visualizzare ciò a cui una persona sieropositiva poteva assomigliare in un contesto africano. Nella mia mente quella persona sembrava un ramo secco. Mi è stato poi assegnato un medico che mi ha detto: «Tu sarai morta in sei mesi». Un paio di mesi più tardi, ho perso il mio fratello maggiore a seguito di complicazioni HIV. Ero sconvolta e inconsolabile, ed ero così arrabbiata. Ho smesso di prendere le medicine. Avevo cominciato a sperimentare un dolore paralizzante e formicolio nelle mie mani e piedi. Poi ho iniziato ad usare i rimedi naturali per affrontare queste condizioni, che sono apparentemente irreversibili. Io faccio il mio esame del sangue ogni tre mesi. Attualmente il mio conteggio CD4 è 540 con un carico virale di 18.000. I farmaci invece hanno fatto aumentare il mio numero di CD4, ero uno zombie per la maggior parte del tempo e avevo perso la possibilità di svolgere la mia vita quotidiana. Ora sto meglio e ho un sacco di energia che mi ha permesso anche di istituire una clinica nella mia città natale a sostegno delle persone infette da HIV. Il sito web è www.ladyirene.org. Questo è il messaggio che vorrei per i meno fortunati o quelli che verranno dopo di me: ho capito abbastanza per aprire una strada anche per voi! Ma soprattutto ciò che resta è l’amore e il mio desiderio è che voi amiate e curiate voi stessi come io ho amato e curato me per voi. Condivido la mia storia con voi, perché mi state a cuore! Pace».

Le Body maps

Questo «avere a cuore», questo esporsi per gli altri, questa alterità radicale, è così descritta da Levinas nel suo Altrimenti che essere: «La responsabilità per Altri – al contrario dell’intenzionalità e del volere che l’intenzionalità non riesce a dissimulare – non significa affatto lo svelamento di un dato e la sue ricezione o percezione, ma l’esposizione di me ad altri, preliminare ad ogni decisione. Attraverso questa alterazione l’anima anima il soggetto. È il pneuma stesso delle psiche. Dire così significa esaurirsi nell’esporsi, fare segno facendosi segno».

La mappatura del proprio corpo, il body mapping, è esattamente questo «fare segno facendosi segno»: una tecnica elaborata negli anni Novanta dai gruppi di attivisti anti Aids specie in Africa del Sud e nelle zone a maggior sieropositività di Paesi come la Tanzania ed il Kenia. Oggi l’arte di ritrarre, a grandezza naturale, il proprio corpo, questa forma di totemizzazione di se stessi, viene utilizzata dai gruppi di sensibilizzazione e di aiuto ai sieropositivi per creare un campo di proiezione per ricordi, realtà e visioni, una vera e propria mappa psico-corporea che illustra i punti di forza e quelli di debolezza del soggetto.

La full sized-silhouette dal vivo del corpo è ulteriormente dipinta ed elaborata fino a che non rappresenta una mappa individuale della persons prospettive di vivere con la sieropositività, dei suoi sogni per un futuro che in ogni modo ci sarà se non ci si fa prendere dal buco nero della depressione e della solitudine. E comunque, come dice Bachelard, dobbiamo pensare che tutti gli spazi delle nostre passate solitudini, gli spazi in cui abbiamo sofferto la solitudine, goduto la solitudine, desiderato la solitudine, sono incancellabili in noi, precisamente perché l’essere non vuole affatto cancellarli, sa istintivamente che gli spazi della sua solitudine sono costitutivi.

E così, dopo aver oggettivato l’«ombra» gettata sull’anima dalla malattia che la oscura a suo modo, nasce un confronto con il contorno di quei ricordi, pensieri, intuizioni, sintomi e segni patologici memorizzati nel corpo, esternalizzati dalla pittura.

Si cartografa così un luogo di autocoscienza, non uno spazio ma un luogo, che apre al cammino di autocoscienza tra semiotica e semeiotica, che spesso fa riaffiorare esperienze dolorose ma anche l’irripetibile unicità di ognuno, la forza inimmaginabile che nasce entro se stessi quando si devono dare messaggi positivi a chi dipende ancora da te: i bambini, i familiari, gli amici, la comunità che ad un certo punto muta il suo atteggiamento e ti guarda come ad un testimone di un percorso di resistenza al male che diventa la metafora drammaticamente vitale della più generale condizione umana. D’altra parte la conoscenza del reale è una luce che proietta sempre da qualche parte delle ombre, dice ancora Bacherald.

Il desiderio dell’uomo, sostiene Jung, è che la morte e la sua fredda morsa diventino il grembo materno, esattamente come il mare, che pur inghiottendo il sole, lo fa rinascere nelle sue profondità… mai la vita ha potuto credere alla morte.

Le Body maps rappresentano dunque non solo una forma d’arte che rispecchia l’intimità corporea, lo psichismo del soggetto, ma una vera e propria rêverie su se stessi, una cartografia dell’immaginazione immaginante che tende a generare resistenza nel presente e memoria nel futuro.

Qui, a differenza delle mappe geografiche, sempre politicamente condizionate ed orientate nel descrivere uno spazio standardizzato e standardizzabile, ognuno traccia le proprie coordinate corporee, creando i punti cardinali sui quali orientare i segni del suo essere con la malattia. Le Body maps vanno così nella direzione di quella fantastica trascendentale antimoderna auspicata in certi romantici come Novalis, dove la funzione immaginativa è motivata non dalle cose ma da una maniera di dotare universalmente le cose di un «secondo senso», di un senso che sarebbe la cosa più universalmente condivisa del mondo.

Mundus Imaginalis

«Retaggio di antiche Fantastiche, vagheggiata dai Romantici, compiutamente realizzata da tanta poesia e filosofia del XX secolo, fantastica trascendentale è ciò che coniuga, in felice ibridazione, trascendentalismo e immaginazione, ponendo la fantasia a fondamento dell’umanità, della storia, del mondo. Facoltà dell’anima e struttura del cosmo, la fantasia si pone infatti come elemento fondativo e costitutivo che, riecheggiando i fasti dell’antichità classica e oltrepassando la pregiudiziale razionalistica moderna, prelude a sviluppi ontologici e trascendentali novecenteschi. Si pensi, per esempio, alle nozioni di phantasia greca o imaginatio latina, così compiutamente realizzate da tutta una corrente poetica, letteraria e filosofica (soprattutto di ispirazione platonica e neoplatonica) a partire da Apuleio a Plotino, passando attraverso l’ibridazione egizianeggiante e siriana di Plutarco, Porfirio, Giamblico. Si pensi, ancora, al Rinascimento e alla modernità, che hanno spesso recuperato la fantasia sotto forma di utopia. Si pensi, infine, alle Filosofie dell’Immaginazione del Novecento, che declinano la fantasia nel segno dell’immaginazione, dell’immaginario e dell’immaginale lungo un filo squisitamente estetico e poetologico». Questa è la definizione di fantastica trascendentale che Bachelard da nell’introduzione del suo libro omonimo.

Qui ritroviamo un riflesso di quel Mundus Imaginalis che Henry Corbin descrive nel suo Corpo spirituale e Terra celeste a proposito dei neoplatonici di Persia: «Se indichiamo solitamente l’immaginario come irreale, utopistico, questo deve essere sintomo di qualche cosa. Di contro a questo sintomo, possiamo esaminare brevemente insieme l’ordine di realtà che io ho designato come mundus imaginalis e cosa i teosofi islamici indicano come ottavo clima; esamineremo poi l’organo che percepisce questa realtà, precisamente, la coscienza immaginativa, l’Immaginazione cognitiva; e infine presenteremo alcuni esempi, tra i tanti altri ovviamente, che tratteggino la topografia di questi intramondi, così come sono stati osservati da coloro che realmente sono stati lì».

Ecco cosa fa delle Body maps delle espressioni reali di questa Immaginatio vera, come dice Marsilio Ficino: il fatto che queste ragazze e questi ragazzi siano veramente stati in altri mondi, quei mondi al limite tra il buio e la luce che solo loro sono in grado di descrivere attraverso i loro stessi corpi dipinti come una mappa geografica sui generis, non isotropica, non omogenea non continua, non, in sintesi come le mappe cui siamo abituati, che descrivono un mondo intrappolato in una gabbia ortogonale di meridiani e paralleli che lo delimitano spazialmente ma anche lo normalizzano in tutte le sue parti.

Qui i vari spazi interni, e le relazioni tra di essi, saranno nominati dalle frasi scritte a latere o inserite nel corpo, così come dal significato dei colori e dei simboli spesso indecifrabili se non da chi ha vissuto la stessa esperienza, per liberare queste Immagini dai limiti raffigurativi tracciati sulla carta ed aprire quella quarta dimensione metaspaziale che comunica con il Mundus Imaginalis.

La surrealtà dell’immagine che si determina nelle Body maps come livello ulteriore della realtà si ottiene dunque tramite un’elevazione in una dimensione spirituale, della quale fanno fede le testimonianze stesse dei soggetti, oramai sublimati dalle pulsioni e, al tempo stesso, così vicini alle scorie corporee. Alla surrealtà dell’immagine corporea corrisponde così un surrazionalismo del soggetto immaginante. Ma è proprio il significato politico e sociale di queste testimonianze, rese non solo per se stessi ma per tutta la comunità presente e futura, ad evitare che il soggetto oltrepassi la soglia della dissoluzione della coscienza.

In tal senso si può dire che le Body maps hanno delle ripercussioni, nella definizione datane da Maurice Blanchot nel suo Vaste comme la nuit: «L’unica cosa che ci mette al livello del potere poetico è la ripercussione, l’appello dell’immagine a ciò che vi è in essa di iniziale, pressante appello a uscire da noi e a muoverci nella scossa della sua immobilità. La ripercussione dunque non è l’immagine che risuona in me, ma è lo spazio dell’immagine, l’animazione che le è propria (…) la tensione stessa dell’immagine, la sua estensione e l’apertura della sua apparizione che ci apre alla forza di ciò che appare… L’immaginazione si pone come sfida che apre all’uomo territori inesplorati, in cui si entra in contatto con la forza primigenia e fondativa dell’invenzione umana che, bruciando il fuoco della sua ispirazione, riesce a sentire la ripercussione ed a vedere le immagini poetiche».

«Ogni cosa non è altro che il limite della fiamma alla quale essa deve la propria esistenza» dice Rodin, intendendo riferirsi alla fiamma interna ad ognuno di noi, al principio creatore igneo che alimenta la nostra immaginazione materiale. «Il fuoco cova in un’anima più sicuramente che sotto le ceneri», ci ricorda ancora Bachelard. Così D’Annunzio ne Il secondo amante di Lucrezia Buti esplicita tale «ripercussione»: «Che più m’importa della mia arte se io stesso divengo la materia della mia arte, la qualità della mia finzione materiata? Che m’importa de’ miei ritmi se io medesimo sono il respirante impulso del mio poema? Una specie di demone mimetico mi possiede. La sua veemenza mi respinge dalle mie carte, mi prende mi tiene. Mi preme la nuca, mi piega la schiena, m’abbassa le braccia, mi porta le mani aperte su l’impianto di mattoni, mi cangia le mani nel contorno vocale della mia strofe che io chiudo».

La neuroendocrinologia

Anche la scienza contemporanea, quella impegnata nella ricostruzione della perduta unità tra mente e corpo, tra mondo dentro e mondo fuori di noi, è oramai convinta del potere rigenerante dell’immaginario.

Quando un giornalista, durante un congresso di sciamani che si teneva a Ginevra presso la sede dell’OMS, chiese ad un medico se credeva negli sciamani, questi rispose con il seguente racconto: «Mi trovavo in un villaggio di un paese africano quando fui chiamato da un collaboratore per andare a visitare un bambino gravemente ammalato. Giunto al capezzale del malato questi era in coma profondo per una meningite, visitatolo accuratamente mi resi conto di potere fare ben poco e comunicai ai parenti che le condizioni cliniche erano gravi e che il bambino avrebbe potuto morire entro poche ore. Fu chiamato allora lo sciamano del villaggio che dopo avere toccato in più punti il bambino disse: portatemi un gallo nero! Preso il gallo lo sciamano lo collocò ai piedi del letto del malato e disse: se domattina il gallo sarà vivo il bambino morrà se il gallo sarà morto il bambino vivrà. Il mattino successivo il gallo fu trovato morto e il bambino uscì dal coma».

Enzo Soresi, medico neuroendocrinologo di fama, così commenta l’episodio nel suo libro Il cervelloanarchico: «Siamo ancora lontani da un’interpretazione neurofenomenologica che ci possa spiegare queste storie particolari ma sicuramente la biologia e la fisica forniranno in futuro una risposta all’insormontabile divario esplicativo tra la mente cognitiva e quella fenomenologica e riusciranno a districare la complessa ragnatela che tiene uniti il mentale, l’esperienziale, il fisico e il neurale in un essere umano che, come ha scritto Piergiorgio Odifreddi, non è altro che un’insignificante e tardiva comparsa di una grandiosa rappresentazione dell’Universo».

Con la Risonanza magnetica funzionale e la scintigrafia ad emissione di positroni (PET) è possibile osservare il cervello mentre si attiva e si è potuto dimostrare che non esiste atto cognitivo che prescinda da una componente emozionale e che pertanto la sintesi fra l’io neurale e l’io biologico è assoluta.

Mappe del corpo, corpi come mappe, arte come guarigione e resistenza, resistenza come arte e guarigione. Ancora una volta, per chi sappia vedere nel cuore di queste Body maps africane, Ex Africa Semper Aliquid Novi.