Il sistema dei vitalizi dei parlamentari e dei consiglieri regionali è «insostenibile». Per il presidente Inps, Tito Boeri si potrebbero risparmiare 200 milioni l’anno ricalcolando sulla base dei contributi versati gli assegni erogati a ex parlamentari e ex consiglieri regionali. «Un problema ben noto all’amministrazione» hanno fatto sapere dalla Camera. «Gli oneri derivanti sia dal nuovo sistema contributivo, che dal sistema dei vitalizi in vigore in precedenza, gravano interamente ed esclusivamente sui bilanci interni di Camera e Senato, e non dell’Inps».

Il problema non riguarderebbe di Boeri il quale ha replicato ieri nel corso di un’audizione: «Sono in pagamento 2.600 vitalizi per una spesa di 193 milioni nel 2016, circa 150 milioni superiore rispetto ai contributi versati. Applicando le regole del sistema contributivo oggi in vigore per tutti gli altri lavoratori all’intera carriera contributiva dei parlamentari, la spesa per vitalizi si ridurrebbe del 40%, scendendo a 118 milioni, con un risparmio, dunque, di circa 76 milioni di euro l’anno (760 milioni nei prossimi 10 anni)». La sollecitazione di Boeri è stata raccolta dalle opposizioni: Movimento 5 Stelle e Lega. Sul tema è intervenuto il commissario alla spending review, Yoram Gutgeld che ha escluso l’intervento. «Non è previsto – ha spiegato- che l’anticipo dell’uscita rispetto all’età di vecchiaia al quale sta lavorando il Governo sia finanziato con tagli alle pensioni più alte».

Nel frattempo il governo sta lavorando a un sistema per l’uscita anticipata dal lavoro che prevede il prestito pensionistico con l’intervento del sistema bancario per evitare che tutto l’esborso anticipato – pari a un miliardo – pesi sullo Stato. La conferma è venuta dal commissario alla spending review Yoram Gutgeld che conferma l’orientamento del presidente del Consiglio: per andare in pensione, gli «sfigati» rimasti nella trappola della riforma Fornero (l’espressione è di Renzi) dovranno fare un mutuo e indebitarsi con le banche. Si chiama «Ape», anticipo pensionistico. Sigla evocativa per la generazione cresciuta con gli apericene, ma indigesta per i diretti interessati, gli over 63, nati tra il 1951 e il 1953, che saranno penalizzati almeno del 3-4% dell’assegno per ogni anno di anticipo. Per chi invece è disoccupato si sta pensando a un finanziamento pubblico e privato, sostenuto da banche e assicurazioni. Per tutti gli altri si pensa a un sistema di prestiti da recuperare con trattenute sulla pensione finale. Tutto questo a partire dal 2017.

«Siamo d’accordo sull’anticipo con penalizzazioni ragionevoli (proponiamo 4 anni prima con il 2% all’anno) – ha detto Cesare Damiano, presidente della commissione lavoro alla Camera – ma vorremmo una misura strutturale per tutti ed escludiamo la logica del prestito». «Introdurre misure di flessibilità per le pensioni solo nel 2017 è un errore. Magari appaltando i prestiti a banche e assicurazioni, come propone il sottosegretario Nannicini» sostiene Arturo Scotto, capogruppo dei deputati di Sinistra italiana.