Otto mesi dopo il rapimento – ad aprile scorso – delle oltre 200 studentesse di Chibok, un altro sequestro di massa ha sconvolto le comunità civili del nord-est della Nigeria. Sarebbero circa 185 (192 secondo il capo di una milizia locale Usman Kakani) le persone prese in ostaggio, tra cui donne e bambini, caricate a bordo di camion verso la foresta Sambisa e 35 le vittime di un attacco attribuito ai miliziani di Boko Haram. È successo domenica scorsa a Gumsuri, circa 70 chilometri a sud di Maiduguri, la capitale dello Stato del Borno, sulla strada per Chibok.

A darne notizia, dopo quattro giorni dall’accaduto, sono state fonti della sicurezza e i sopravvissuti che per raggiungere Maiduguri senza correre il rischio di cadere nelle mani degli islamisti hanno percorso diverse centinaia di chilometri nella direzione opposta prima di raggiungere la strada principale che conduce alla capitale. I dettagli sul raid che ha colpito una delle zone più isolate del Paese, con strade impraticabili e dissestate e la rete di telefonia mobile completamente collassata, sono emersi solo ieri.

Secondo quanto riportato alla Reuters da un giovane vigilante, Aliyu Mamman, al momento dell’attacco non vi era alcuna forza di sicurezza a fermare i miliziani di Boko Haram. Affermazione che non sorprende se si considera che proprio le forze armate nigeriane – oltretutto ripetutamente accusate dalle associazioni per i diritti umani di violenze contro i civili – soffrono la mancanza di investimenti e di equipaggiamenti militari a fronte di Boko Haram che si rivela sempre più ben armato e determinato e come sostenuto dallo stesso presidente Jonathan «infiltrato nelle forze armate e di polizia».

A pochi mesi da quelle che si annunciano come le elezioni più contese dalla fine del regime militare nel 1999, la classe politica nigeriana si prepara dunque a scendere in lizza all’ombra di un gruppo terroristico di cui è evidente la capacità di conquista territoriale e di destabilizzazione dell’apparato istituzionale. D’altro canto, a correre per la presidenza a febbraio 2015 saranno due candidati che per ragioni differenti non lasciano presagire un cambio di guardia nel management politico e socio-economico della Nigeria: il presidente uscente Goodluck Jonathan per il partito al governo, il People’s Democratic Party, e Muhammadu Buhari per il partito d’opposizione, l’All Progressives Congress.

Contro Buhari, ex dittatore alla guida della Nigeria per due anni (1983-’85), pesano le accuse della Northern Coalition for Democracy and Justice, un’associazione nigeriana per i diritti umani che nei giorni scorsi ha chiesto alla Corte Penale Internazionale la sua incriminazione per il coinvolgimento nei disordini post-elettorali del 2011 durante i quali 800 persone furono uccise.

Intanto, secondo l’Independent National Electoral Commission, più di un milione di sfollati interni rischiano di non esercitare il loro diritto di voto a meno che la legge elettorale (secondo cui è possibile votare solo nei collegi di appartenenza) non venga modificata nelle prossime settimane.