Alla vigilia della manifestazione «Non una di meno» ha gioito del ritorno in piazza delle donne contro la violenza. Ieri, a fine corteo, Laura Boldrini è emozionata per il successo. Una piazza di donne – ma c’erano anche molti uomini – dove per la prima volta non è andata «perché» spiega la presidente della Camera, «rispetto l’autonomia dei movimenti che hanno promosso il corteo e mi faceva piacere che le protagoniste fossero quelle che hanno voluto e saputo organizzare una giornata come questa». Nella giornata contro la violenza sulle donne, Boldrini ha fatto un gesto forte: ha reso pubblici alcuni dei messaggi di violenza che riceve via social, con tanto di nomi e i cognomi degli autori. Ma andiamo con ordine. Iniziamo dalla manifestazione. «Bella», dice. E non c’è altro modo per definirla.

Una manifestazione imponente, ben al di sopra di ogni più rosea previsione. Che impressione le ha trasmesso?

Ho visto le immagini in tv. Era bella, partecipata, determinata. Ma ho visto, nonostante il tema, anche striscioni ironici. La marea di chi riteneva importante dire no alla violenza sulle donne. Ed è significativo anche che molti uomini abbiano sentito il bisogno di prendere le distanze dai violenti e di mettere insieme anche le loro forze con quelle delle donne. Che è il passaggio determinante, se vogliamo fare sul serio.

Dalla piazza è arrivato un messaggio alle istituzioni. E alcune richieste precise, fra cui quella di comporre insieme un piano antiviolenza. Le istituzioni sapranno coglierlo?

La manifestazione ha rivolto un messaggio alle istituzioni ma non solo. Ha parlato a più soggetti. Ha mandato un messaggio anche a tutte le donne che vivono una condizione di violenza domestica per dire loro che non sono sole e che non si devono rassegnare. Per quanto riguarda le istituzioni, con l’intergruppo delle deputate abbiamo incontrato le organizzatrici a Montecitorio per farci spiegare i contenuti della manifestazione. Si è creato un clima positivo e collaborativo. Ho voluto chiarire che le donne delle istituzioni e quelle delle associazioni stanno dalla stessa parte. Non esiste un ’noi’ e un ’voi’. Per quanto mi riguarda non ci sono dubbi. E sulle questioni di genere non sono ammesse deleghe: ognuno e ognuna deve fare la propria parte nell’ambito delle proprie competenze. Per quanto riguarda Montecitorio, ho voluto ricordare quello che abbiamo fatto in questa legislatura. Nel discorso di insediamento da presidente della Camera ho parlato della violenza mascherata da amore, una scelta che è stata considerata irrituale in un’occasione di quel tipo. In parlamento abbiamo ratificato la Convenzione di Istanbul e approvato il decreto sul femminicidio, inasprendo le pene per alcuni reati, aumentando le tutele per le vittime e inserendo il piano straordinario contro la violenza.

Lei sa che alcune associazioni non hanno apprezzato quella legge.

Ne discuteremo ancora, ma quello che abbiamo fatto in questa legislatura non ha precedenti. Personalmente mi sono spesa anche in gesti simbolici: dal drappo rosso esposto sulla facciata di Montecitorio, ad abbassare in segno di lutto la bandiera italiana in memoria delle donne ammazzate e degli orfani di femminicidio; ho istituito la Sala delle donne con le foto delle donne della Repubblica – le Costituenti e le prime sindache, la prima donna ministra, la prima presidente della Camera e la prima presidente di Regione – che non avevano riconoscimento visivo a Montecitorio; infine ho dato il via, da un anno, all’intergruppo delle deputate. Grazie al quale nella legge di bilancio sono stati inseriti emendamenti per il sussidio agli orfani di femminicidio, alle vittime di stupri di guerra, l’estensione del congedo per violenza alle lavoratrici autonome, e l’aumento di 5 milioni di euro del contributo ai centri antiviolenza. Le deputate hanno dato la priorità al fatto di essere donne, prima ancora che espressione di gruppi politici. Aggiungo: alla Camera abbiamo approvato la legge che consente di dare il cognome della madre ai figli, ora ferma al Senato. Ed io ho introdotto il linguaggio di genere negli atti parlamentari, che fin qui prevedevano solo il maschile.

Una scelta che ancora suscita un cicaleccio di ironie. Le fa male?

L’avevo messo in conto. Chi vuole cambiare un costume sbagliato e arretrato sa che va incontro a delegittimazioni e attacchi anche violenti. A me succede da tre anni e mezzo, ogni giorno.

Per questo ha pubblicato alcuni messaggi ricevuti sui social network, con nomi e cognomi degli autori?

Noi donne non possiamo abbassare la testa davanti a chi ci umilia sulla rete. Io non lo farò, non devono farlo le nostre figlie. Nessuna deve essere costretta a uscire dai social network per evitare gli insulti e le minacce. Ricevo minacce di ogni genere: morte, stupro, umiliazioni immonde. E so che siamo in tante nella stessa condizione. Io ne ho solo selezionate alcune dell’ultimo mese per far capire a cosa va incontro una donna che fa certe battaglie sui diritti – delle donne, dei rifugiati, degli omossessuali – e come finisca per essere oggetto di odio e misoginia. Chiedo che i vertici dei social si assumano le loro responsabilità. Così come gli autori dei messaggi violenti. Lo devono sapere tutti chi sono: le loro famiglie, i loro amici e le amiche, i datori di lavoro. Ognuno si deve assumere le sue responsabilità. Io mi assumo le mie. E i gestori dei social network non possono lasciare che tutto questo si rovesci a carico dell’insultato. È inammissibile.

La manifestazione «Non una di meno» si è svolta nel pieno di uno scontro politico, quello per il referendum della prossima settimana. Dalla piazza è arrivata anche una lezione di dialogo politico fra differenze?

Io non c’ero, ma la manifestazione dimostra come il nostro paese sappia ritrovarsi sui grandi temi sociali. Un segnale importante, sano, che evidenzia la capacità di reagire all’indifferenza. Ho deciso di non essere in piazza perché mi piaceva che ci fosse la centralità delle organizzatrici, delle associazioni, di tutti quelli che hanno lavorato per la riuscita. Farò la mia parte: una volta che saranno partiti i tavoli di lavoro, subito ci incontreremo con le organizzatrici insieme alle deputate dell’intergruppo per confrontarci sulle proposte. Funzionerà se saremo tutte coinvolte e tutte determinate a raggiungere l’obiettivo. Non più ’noi’ e ’voi’: cammineremo insieme.