Il 21 aprile del 1945 Bologna è libera. L’anno seguente Giuseppe Dozza, comunista, viene eletto sindaco. Tra i primi atti del consiglio comunale appena formatosi il Piano per dare alloggio a chi è rimasto senza casa a causa dei bombardamenti. Nel 1949 viene istituita l’Azienda Farmaceutica Municipalizzata pensata anche per gli aventi diritto all’assistenza sanitaria gratuita. Negli anni Sessanta l’assessore Campos Venuti presenta una radicale proposta di legge urbanistica contro la rendita fondiaria. Nel 1969 il nuovo sindaco Guido Fanti, comunista, inaugura il primo nido d’infanzia. Nel 1973, in piena giunta Zangheri, comunista, parte l’iniziativa delle fasce orarie gratuite dei servizi di trasporto pubblico locale.

Queste sono solo alcune tra le azioni politiche promosse a livello centrale dai governi comunali che si sono succeduti dal 1945 al 1980 a Bologna, durante quei trentacinque anni che i documentaristi Michele Mellara e Alessandro Rossi hanno chiamato nel loro lavoro filmico gli anni de «La Febbre del Fare». Quella febbre che spinse la giunta comunale a indire il primo Pap-Test gratuito a fine anni Sessanta per le donne con un tumore al seno; la stessa febbre che portò negli stessi anni l’assessore Adriana Lodi a spendere le sue vacanze in Svezia per studiare le scuole del Nord Europa al fine di costruire un sistema analogo in città.

Poi venne la grande frattura: i due shock petroliferi del 1973 e del 1979, il ritorno della stagnazione e di una fortissima inflazione; e in mezzo il «Movimento del ‘77», forse l’ultimo slancio di trasformazione della società italiana ma anche, allo stesso tempo, la manifestazione di una sconfitta già avvenuta: tutto stava cambiando e anche Bologna non sarebbe stata più quella di prima, a cominciare dal dialogo tra studenti, cittadini e la stessa Amministrazione.

Non è casuale che questa lunga stagione «febbrile» si chiuse proprio a Bologna, con la più grande strage terroristica italiana, ovvero quella che si compì il 2 agosto 1980 alla Stazione Centrale.

Cosa è successo da allora a Bologna? Chi sono oggi i suoi «cittadini»? E cosa vogliono?

A fine 2015, in città, è nato un soggetto politico alternativo al Pd in vista delle prossime elezioni comunali. Ne fanno parte i militanti di Possibile, quelli di Sel, i sostenitori di Alberto Ronchi, ex assessore comunale alla Cultura «dimissionato» da Merola e gli attivisti di Bonalé (bolognesismo che sta per «basta così») autentica novità nella scena elettorale di area movimentista facente capo al centro sociale Tpo. A questo elenco si aggiunge Coalizione Civica, il gruppo che ha mosso i primi passi già nell’estate scorsa per la costruzione del nuovo soggetto.

Dalla febbre del fare sono passati esattamente altri 35 anni: 35 anni che non sono riusciti forse a distruggere tutte le azioni politiche realizzate dal 1945 al 1980 ma sicuramente hanno rappresentato un gran balzo all’indietro per quanto concerne la nostra storia municipale. Ora a distanza di settant’anni dai primi discorsi del comunista Dozza si avvicina una nuova scadenza elettorale e i frammenti di autoreferenzialità a sinistra, potrebbero dire gli scettici, riprovano per l’ennesima volta a comporre arcobaleni sbiaditi. Perché invece siamo convinti che si tratti di «qualcosa di completamente diverso», come direbbero i Monty Python?

Tutti i componenti di questa «Coalizione Civica» si sono ritrovati su alcuni punti fermi: nessun simbolo di partito, ma senza denigrarne l’esperienza e la cultura politica, per valorizzare invece il lavoro fatto sul territorio.

Una lista unitaria, un solo simbolo, un solo candidato.

Un progetto aperto per includere competenze costruite sul campo e mettere a frutto il lavoro dei tavoli tematici aperti in questi ultimi mesi: ripensare il welfare cittadino, le politiche relative alla mobilità, combattere la «buona scuola», ritornare a lavorare in e per la periferia.

Il nuovo soggetto politico vuole ripartire dal quel passato evocato sopra per costruire il futuro di questa città. Al di là dell’esito elettorale (e noi tutti ci candidiamo per vincere) ci siamo già promessi che i nostri tavoli tematici e i nostri lavori sul territorio non si fermeranno dopo i risultati amministrativi.

Comunque andrà a finire, andremo avanti, consapevoli del lavoro che c’è da fare anche come ascolto di tutti quei cittadini che continuano a votare Pd perché in fondo questo partito discende da quello che ha amministrato la città dal 1945 al 1980; che sappiamo, anche loro, così spaesati e impauriti dal futuro, così nostalgici e attaccati a quel passato, che Bologna può ritornare a produrre quei circoli virtuosi di cui loro hanno goduto solo realizzando il lutto della morte di quel partito e ricostruendone un altro insieme a noi, più giovani e meno ricchi di loro, ma ugualmente legati e sensibili al destino della nostra città.

Il 28 febbraio verrà votato e ufficializzato il candidato sindaco. Per far questo la Coalizione ha dato vita a un Comitato che sta lavorando quotidianamente per trovare assieme le regole per attuare questa selezione e istituire le regole di voto nelle forme più trasparenti e partecipate possibili. Nel frattempo i lavori dei gruppi tematici va avanti senza sosta.

Siamo onesti: non è stato, non è e non sarà facile arrivare a una sintesi politica tra soggetti diversi e portatori di differenti visioni politiche. In un clima cittadino dove tutti i media ci sono ostili abbiamo bisogno del sostegno del manifesto (che poi è anche il «nostro» giornale) per poter raccontare come sta maturando la Coalizione che ci vede tutti assieme per la prima volta e come stiamo lavorando per rendere concreti e applicabili, amministrativamente parlando, i nostri contenuti.

Bologna, secondo noi, ha la forza di tornare a essere un modello nazionale e internazionale di buon governo: spetta a noi cittadini ora dimostrarlo.