Piovono bombe saudite sullo Yemen: nella notte tra mercoledì e giovedì Riyadh ha annunciato l’inizio dell’operazione Tempesta Decisiva. Le vittime civili a Sana’a, secondo il Ministero della Salute yemenita, sono almeno 25, di cui 6 bambini. In campo sono scese le monarchie del Golfo, i regimi sunniti, per soffocare la ribellione della minoranza sciita Houthi. I primi raid, lanciati a poche ore dall’occupazione Houthi di una parte di Aden e la fuga del presidente Hadi, hanno smentito le dichiarazioni di Washington e Riyadh che (mentre i carri armati sauditi venivano dispiegati al confine) parlavano ancora di «azione difensiva».

Sono 100 i jet da guerra e 150mila soldati che l’Arabia Saudita ha messo a disposizione del fronte anti-Houthi. O meglio, di quello anti-Iran. Perché in gioco non c’è la stabilità del paese più povero del Medio Oriente o le richieste della minoranza sciita: in gioco c’è il controllo di una zona strategica per il transito del greggio delle petromonarchie verso l’Europa, attraverso lo stretto di Bab al-Mandeb (una media di 3,4 milioni di barili al giorno). Immediata è stata la reazione dei mercati finanziari: il prezzo del petrolio è aumentato del 4%, schizzando sopra i 58 dollari al barile, e le borse europee hanno chiuso in negativo, trascinate dal segno meno di Wall Street.

Ma in gioco c’è soprattutto l’avanzata militare e diplomatica iraniana nella regione. Tanto minacciosa per gli equilibri mediorientali da far schierare contro la ribellione degli Houthi oltre dieci Stati: Emirati Arabi, Bahrain, Kuwait, Qatar (ovvero il Consiglio di Cooperazione del Golfo al completo, fatta eccezione per l’Oman), Egitto, Giordania, Sudan, Pakistan, Marocco, Turchia e Stati Uniti, che hanno messo a disposizione servizi di intelligence e logistici. Il Cairo ha già inviato 4 navi da guerra per «mettere in sicurezza il golfo di Aden» e annunciato il probabile lancio di un’offensiva via terra accanto alle truppe della famiglia Saud.

L’ampio fronte ha immediatamente galvanizzato il governo ufficiale yemenita: il ministro degli Esteri Yassine ha dichiarato che l’operazione proseguirà fino a quando il movimento Houthi non accetterà di prendere parte ai colloqui di pace e non si ritirerà dalla capitale Sana’a. Ma ad oggi il migliore dei modi per giustificare l’azione è l’accusa che pesa sugli sciiti, ovvero lo stretto legame con Teheran che sosterebbe militarmente e politicamente l’avanzata: «L’azione risponde alle richieste della nazione yemenita – ha detto il presidente egiziano al-Sisi – per il ritorno alla stabilità e la salvaguardia dell’identità araba», chiaro richiamo alla minaccia iraniana.

Riyadh ha già eliminato alcuni leader Houthi, assunto il totale controllo dello spazio aereo yemenita, mentre venivano chiusi i porti del paese e le forze militari fedeli al governo ufficiale riprendevano l’aeroporto di Aden. Obiettivo dichiarato, che ha subito ottenuto il plauso Usa, è «proteggere il governo legittimo» del presidente Hadi. Una figura posta sulla più alta poltrona yemenita dal burattinaio saudita nel 2012, subito sostenuto dagli Usa che necessitavano di stabilità per proseguire nella guerra dei droni contro al-Qaeda, ma che non ha mai rappresentato le reali istanze del paese. Tanto che due giorni fa (seppure i fedelissimi continuino a smentire) è stato costretto alla fuga dall’avanzata sciita ad Aden, capitale provvisoria dove si era rifugiato a febbraio, senza venir difeso dalle tribù sunnite meridionali, né da una parte dell’esercito che ha preferito disertare per unirsi alle forze sciite.

E se mercoledì le agenzie stampa davano Hadi in fuga in barca verso più sicuri lidi, ieri la tv al-Arabiya ha fatto sapere che il presidente è in volo verso Sharm el-Sheikh dove nel fine settimana si terrà il summit della Lega Araba. Hadi chiederà all’organizzazione di intervenire per bloccare quello che ritiene un colpo di Stato sciita, stesso appello mosso in una lettera inviata ieri all’Onu. La leadership ufficiale yemenita cerca l’appoggio della Lega, “snobbata” dai suoi stessi membri che hanno optato per un’operazione militare senza attendere il meeting egiziano. Poco importa: la benedizione al fronte anti-Houthi è giunta comunque per bocca del segretario della Lega Araba, l’egiziano Nabil al-Arabi.

Dall’altra parte della barricata della guerra per procura su terra yemenita sta l’Iran e i suoi alleati regionali. Ai raid sauditi ha subito reagito condannando l’operazione: «Un’aggressione militare, che complica la crisi interna», l’ha definita il ministro degli Esteri di Teheran, Mohammad Zarif, che ha promesso misure «per controllare l’emergenza yemenita». All’Iran hanno fatto eco Damasco, Hezbollah: «Palese aggressione», dice il governo siriano; «intervento illegittimo e imprudente», aggiunge il movimento sciita libanese. E mentre interveniva anche il presidente russo Putin che chiede la fine immediata dell’attacco, reagiscono anche gli Houthi che hanno organizzato ieri manifestazioni di massa per protestare contro «la dichiarazione di guerra saudita allo Yemen» e promesso azioni immediate.