Il Brasile va alle urne domenica 5 per le elezioni presidenziali, legislative e regionali. Un voto obbligatorio per i maggiori di 18 anni e per i minori di 70 e facoltativo per i giovani dai 16 ai 18 e per gli over 70. Almeno 57.000 urne elettroniche saranno distribuite in tutto il paese – il quarto più popoloso al mondo, il quinto per estensione territoriale e la settima economia mondiale per reddito nazionale. Il Brasile ha adottato il voto elettronico per la prima volta nelle presidenziali del 1996, e ora conta di semplificare l’esercizio elettorale in tutto il paese: per esprimere le cinque preferenze, i 142,8 milioni di aventi diritto (su una popolazione di 202 milioni) impiegheranno ognuno 40 secondi.

I candidati ai 1.709 incarichi, proposti da 32 partiti, sono 25.919. Il 30,9% è donna (la legge prevede una quota del 30%). E per la prima volta il peso dell’elettorato femminile, in aumento dal 2000, supera quello degli uomini: 74,4 milioni di votanti donne contro 68,2 milioni di uomini. Secondo un recente studio pubblicato dall’Istituto Patricia Galvao sarà determinante anche il voto della popolazione nera e mulatta, maggioritaria fra gli aventi diritto. Dal 1989, quando i brasiliani hanno potuto eleggere direttamente il presidente dopo due decadi di dittatura civile e militare, neri e mulatti rappresentano il 55% dell’elettorato (nelle inchieste, l’altro 44% si dichiara bianco, e il restante 1% giallo).

Il 42,2% dei candidati è nero o mulatto e il 69,1% è maschio. Per quanto riguarda le popolazioni indigene, si sono proposti solo 83 candidati, pari allo 0,32% del totale della popolazione: 3 aspirano alla carica di senatore, 24 a quella di deputato federale e 51 a quella di deputato regionale. Il Partito dei lavoratori (Pt) ha proposto 16 nativi, 12 si sono registrati con il Partito socialismo e libertà (Psol) e 11 per il Partito comunista del Brasile (PcdoB).

E sono donne anche le due principali candidate alla presidenza, l’attuale presidente Dilma Rousseff, del Pt, e Marina Silva, proposta dal Partito socialista brasiliano (Psb) dopo l’improvvisa morte di Eduardo Campos, ex governatore dello stato nord-orientale del Pernambuco, che l’avrebbe voluta alla vicepresidenza. La terza candidata donna è Luciana Genro, del Psol, il cui programma è marcatamente di sinistra (massicci investimenti sociali, interventi sulla rendita finanziaria e contro l’agribusiness, avvicinamento ai paesi socialisti dell’Alba).

Nelle intenzioni di voto, indagate per «sesso e razza» dagli istituti Ibope e Datafolha, il 32% ha dichiarato di non aver ancora scelto, mentre per le donne le due principali candidate sono quasi a pari merito (27% Rousseff e 25% Silva). Il 10% delle elettrici darebbe invece il proprio voto al candidato più conservatore, Aecio Neves, del Partito della socialdemocrazia brasiliana (Psdb). Un altro 8% voterebbe ancora per il defunto Campos.

Tra l’elettorato nero o mulatto, Dilma invece risulta vincente con il 35% delle intenzioni di voto, contro il 25% di Silva e l’8% di Neves. Tutti i sondaggi indicano d’altronde una forte ripresa della candidata del Pt, data per vincente sulla più diretta rivale con almeno 13 punti in più (40% contro 27%). In aumento anche il gradimento per Neves che, in caso di una probabile seconda volta e di un ballottaggio fra le due donne, dirotterebbe i voti su Silva.

«Ho sentito dire che il mercato è nervoso perché Dilma vincerà. Io ho vinto nel 2002 e nel 2006 e non ho chiesto il voto al mercato. Dilma ha vinto nel 2010 e non ha chiesto il voto al mercato. Noi chiediamo il voto alle persone», ha dichiarato l’ex presidente Lula mettendosi al fianco di Rousseff: a fianco dell’arco di sinistra e dei movimenti che appoggiano la candidatura Rousseff pur criticandone le timidezze nel programma. Secondo i dati della Fao, il governo del Pt ha ottenuto ottimi risultati nella lotta contro la malnutrizione, scesa dal 10,7% al 5%, nella diminuzione della povertà estrema (dal 17,5% al 3,5%), nella lotta all’analfabetismo (dal 13,5 all’8,5%). E tuttavia, il Brasile resta ancora fortemente iniquo e la ricchezza rimane concentrata in poche mani. Anche se negli ultimi 10 anni sono stati creati 20 milioni di posti di lavoro e i salari e le pensioni sono stati relativamente aumentati, non bastano ad affittare una stanza in una favela, dove i prezzi risultano altissimi. E dalle favelas – dove la polizia reprime in totale impunità – è partita gran parte della protesta durante la preparazione dei mondiali.

I programmi sociali di Lula e Rousseff non hanno intaccato i rapporti di proprietà, com’è invece accaduto in altri paesi dell’America latina, in primo luogo in Venezuela. In tempi di crescita ridotta e di fronte al nuovo vento socialista che spira in tutto il continente, anche una relativa ridistribuzione della rendita a favore delle classi popolari diventa comunque insopportabile per gli adepti del «mercato». In Brasile non ci sono solo i boschi tropicali dell’Amazzonia (4,6 milioni di km quadrati) con il loro immenso patrimonio in biodiversità. Non c’è solo il bacino acquifero del Guarani (37.000 km cubici di acqua), ma anche il petrolio. Il nuovo giacimento scoperto a 2.000 metri nelle profondità oceaniche, detto «pre-sal» custodisce 80 mila milioni di barili, che porta le riserve di oro nero del Brasile a 100 mila milioni di barili. Di che giustificare ampiamente il desiderio Usa di riportare il paese nella propria orbita: cosa che fin’ora non gli è riuscita. Dopo le rivelazioni del Datagate, Rousseff che avrebbe dovuto recarsi negli Usa non ha fissato una nuova data.

E così, oltre 100 intellettuali e artisti, e ieri centinaia di movimenti internazionali, riuniti in Ecuador, hanno esortato la popolazione a votare per Rousseff: per evitare un pericoloso ritorno indietro, ha detto il teologo della Liberazione Leonardo Boff. Tutti hanno pubblicamente smascherato la trappola Silva, definita la «Capriles brasiliana» con riferimento all’ex candidato di opposizione in Venezuela, Henrique Capriles, che ha cercato di ammantare il suo discorso conservatore con tinte sociali.

Come spiega il reportage di Lamia Oualalou (che accompagna l’articolo di Caccia Bava pubblicato sotto, che comparirà sul prossimo numero di Le Monde diplomatique, in edicola il 15 ottobre -) Silva deve rispondere alle potenti chiese evangeliche, di cui fa parte. La proporzione degli adepti sul totale della popolazione è passata dal 5 al 22% in 40 anni. Ed è anche per il peso delle chiese che la questione dell’interruzione di gravidanza (nonostante la legge, ogni 2 giorni muore una donna per aborto illegale) è rimasta per Dilma sullo sfondo.

Rousseff ha invece attaccato frontalmente la sua rivale per la sua contrarietà ai matrimoni gay. E i movimenti Lgbt sono scesi in piazza contro le dichiarazioni omofobiche di un candidato presidenziale della destra, Levy Fidelix, del Partido de Renovación del Trabajo.