«Una farsa sessista». Molte deputate di sinistra hanno definito così la gazzarra delle destre brasiliane durante il voto alla Camera contro Dilma Rousseff. Agli insulti maschilisti contro la presidente, urlati da una pletora di inquisiti, per l’occasione maestri di etica, hanno reagito però anche molti uomini, eletti in quelle formazioni che più premono sul Partito dei lavoratori (Pt) per un cambio di indirizzo politico.

Così, durante il voto d’impeachment, Jean Wyllys, deputato del Partito Socialismo e Libertà (Psol) ha sputato in faccia a Jair Bolsonaro, un militare in pensione ultraconservatore che ha dedicato il suo voto al defunto colonnello Brilhante Ustra, responsabile di torture, assassinii e scomparse durante la dittatura. Bolsonaro ha definito Ustra come “il terrore di Dilma Rousseff”, giacché la presidente, ex guerrigliera, è stata detenuta e torturata durante la dittatura. Wyllys, un parlamentare che si occupa di questioni di genere, diversità sessuali e minoranze, si è unito a quante hanno definito l’attacco a Rousseff «femminicidio simbolico».

Nonostante le donne rappresentino il 51% della popolazione, la loro rappresentazione nel Congresso brasiliano è di appena il 10% sui 594 eletti delle due camere. Il voto femminile all’impeachment del 17 aprile – che ha richiesto una maggioranza del 2/3 – ha registrato 29 voti per la destituzione e 20 contrari. Con ragione, Rousseff – che nel discorso pronunciato al momento della sua prima elezione, a gennaio del 2011, ha definito «storica» l’elezione di una donna alla presidenza – ha detto che la vergognosa reazione delle destre nei suoi confronti sarebbe stata diversa se ci fosse stato un uomo al suo posto: «Ciao, cara», recitavano i cartelli dell’opposizione, mentre volavano insulti molto più pesanti, insieme a giuramenti su «dio, patria e famiglia».

la presidente ha denunciato il «golpe istituzionale» durante una sessione speciale dell’Assemblea Onu, a New York. Un golpe dalle modalità simili a quelle che hanno portato alla deposizione di Manuel Zelaya, in Honduras (2009) e di Fernando Lugo, in Paraguay (2012). Il 25, sarà pronta una Commissione speciale del Senato che deciderà se portare avanti o archiviare la procedura di destituzione.

Contro Dilma, una triade di corrotti di alto bordo, ben decisi a mantenere il potere al di sopra delle leggi: il presidente della Camera, Eduardo Cunha, vero gangster della politica e organizzatore dell’impeachment, è perseguito per tangenti e riciclaggio di denaro sporco attraverso 11 conti illegali in Svizzera (52 milioni di dollari), ma è finora sempre riuscito a farla franca; il vicepresidente Michel Temer è a rischio impeachment per le stesse accuse rivolte a Rousseff (presunto uso illegale del denaro della banca pubblica per abbellire il deficit fiscale) e per altre 3 denunce, in base a intercettazioni che lo coinvolgono per corruzione e tangenti come del resto è per il 59% del Congresso brasiliano.

Temer, che se non viene processato prima dovrà sostituire la presidente, secondo i sondaggi ha un gradimento dell’1%. E’ un uomo del Fondo monetario internazionale e dei grandi gruppi mediatici, e ha dichiarato che «al Brasile serve un effetto Macri» come in Argentina; il presidente del Senato, Renan Calheiros compare in sette procedimenti aperti dal Supremo Tribunale Federale per il grande scandalo per tangenti dell’impresa petrolifera di Stato Petrobras: lo accusano 8 pentiti. Calheiros potrà assumere la presidenza solo se anche Cunha risulta inabilitato. Una triade tutt’altro che specchiata, che rappresenta il centrista Partito del Movimento democratico brasiliano (Pmdb). Il presidente del Senato ha però criticato la rottura del suo partito con il Pt, che ha precipitato la crisi e il voto d’impeachment.

Ma, intanto, mentre le sinistre e i movimenti popolari manifestano sotto casa di Temer e di Cunha e sostengono la presidente, il Direttivo nazionale del Pt ha votato un’importante risoluzione che accoglie sostanzialmente gli indirizzi della piazza per nuove alleanze di alternativa. Il documento (che trovate sul sito di Rifondazione comunista, tradotto da Teresa Isenburg), denuncia il «circo degli orrori esibito domenica» ed evidenzia la necessità di opporre alla «coalizione antipopolare e reazionaria» che lo ha voluto la creazione di Comitati per la democrazia e contro il golpe in ogni città.

Il Pt, «facendo autocritica nella pratica», dichiara di aver nuovamente imparato «l’antica lezione che riporta alla fondazione del nostro partito: il principale strumento politico della sinistra è la mobilitazione sociale, con la quale la classe lavoratrice prende nelle proprie mani la direzione della società e dello Stato». Dichiara, quindi, «la continuazione immediata delle manifestazioni e delle proteste contro l’impeachment, sotto il coordinamento del Fronte Brasile Popolare e del Fronte Popolo senza Paura, con l’obiettivo di fare pressione sul Senato per bloccare il giudizio fraudolento autorizzato dalla Camera dei deputati».

Da qui, l’invito a giornate di mobilitazione che culminino in «un Primo Maggio unitario di ripudio del golpe, difesa della democrazia e delle bandiere della classe lavoratrice». A seguire, un’indicazione alla presidente affinché proceda a rinnovare il proprio Gabinetto (intenzione già manifestata da Rousseff), «integrandolo con personalità di rilievo e rappresentanti di raggruppamenti chiaramente impegnati nella lotta antigolpista, oltre a incorporare nuovi rappresentanti della resistenza democratica».

Un’apertura ai movimenti sociali, «all’alleato storico, il Partito comunista del Brasile (Pcdb), e ad altre aggregazioni come il Partito del Socialismo e delle libertà (Psol), il Partito della Causa operaia (Pco), che sono state opposizione ai governi guidati dal Pt, ma occupano un posto d’avanguardia nella difesa della democrazia».

Nuove alleanze per «realizzare iniziative a favore della riforma agraria, a misure destinate al recupero della crescita economica, dell’occupazione e del reddito dei lavoratori». E poi, la sfida: «Se l’opposizione di destra continuerà sulla rotta golpista, riaffermiamo che non ci sarà tregua né rispetto in presenza di un governo illegittimo e illegale».

Uno scarto inedito da parte di un partito quasi stritolato nell’abbraccio mortale con i grandi poteri economico-finanziari che battagliano per riprendersi il continente latinoamericano.

L’oligarchia Koch e il suo pervasivo intreccio globale di finanza e petrolio ha formato e finanziato istituti, lobby transnazionali e gruppi di pressione, visti in piazza dal Brasile al Venezuela. Una strategia destabilizzante che, attraverso le agenzie di qualificazione del rischio, usa i grandi tribunali per sottomettere le economie nazionali (vedi i fondi avvoltoio in Argentina) e riappropriarsi delle risorse: per riprendersi la Pdvsa in Venezuela (prima riserva di petrolio al mondo) o i giacimenti del Pre-sal in Brasile.

I Koch finanziano l’Istituto Cato, che ha un suo braccio in Venezuela e a cui appartengono molti ricchi esponenti dell’opposizione, e l’Istituto Heritage, che ha anche compiti di consulenza militare nei conflitti ad alta intensità diretti dagli Usa.

Hernando de Soto, uno dei massimi rappresentanti dell’Heritage, è stato di recente in Venezuela per riunirsi col leader di opposizione Julio Borges, intestatario di molte società offshore secondo i Panama Papers: per programmare il ritorno al dollaro, obiettivo della strategia di distruzione del sistema dei prezzi mediante l’aumento programmato del dollaro parallelo e il blocco finanziario internazionale.