Almeno 33 detenuti sono stati uccisi nel Penitenziario agricolo di Monte Cristo (Pamc), il principale carcere dello Stato di Roraima, nel nord del Brasile. Una nuova strage che fa seguito a quella avvenuta nei giorni scorsi a Manaus (in Amazzonia). Lì, una rivolta e il violento scontro tra due grandi bande rivali che si contendono il controllo del penitenziario hanno portato alla morte di 60 reclusi, 4 dei quali uccisi in una vicina struttura. Sono stati trovati molti colpi mutilati e decapitati. C’è anche stata un’evasione di massa, ma una parte dei detenuti è stata ripresa per aver fatto uso di facebook e di cellulari per vantarsi della fuga.

SECONDO la versione delle autorità locali, questa volta a scatenare l’eccidio sarebbbe stata una delle due gang coinvolte negli scontri di Manaus, la Primeiro Comando da Capital (Pcc) per vendicare i suoi morti nell’altra struttura detentiva. Anche in questa occasione, si sono ripetuti atti feroci, purtroppo frequenti nelle carceri brasiliane: decapitazioni, smembramenti, cuori strappati dal petto. Secondo il Dipartimento di Giustizia e Cittadinanza di Roraima i reparti speciali hanno già sedato la rivolta, mentre come l’altra volta i familiari ne denunciano la brutalità e le condizioni di invivibilità in cui versano le carceri brasiliane. Una «tragedia annunciata», secondo il vice coordinatore della Pastorale carceraria nazionale, padre Gianfranco Graziola, che segue i detenuti a Roraima da quasi 15 anni.

TRAGEDIE annunciate anche per l’Ufficio Onu per i diritti umani a Ginevra e per le associazioni di giuristi democratici, che accusano lo Stato di inerzia e inadempienza e invitano a investigare «in forma imparziale e immediata» le morti in carcere. Solo nel mese di ottobre dell’anno scorso, sono morti 22 reclusi durante rivolte negli stati di Roraima, Rondonia e Acre. Dopo la parentesi di alcuni progetti di prevenzione e reinserimento tentati dai governi del Partito dei lavoratori (Pt), che però non hanno intaccato i guasti strutturali, le carceri brasiliane sono un vero e proprio inferno destinato a peggiorare con gli orientamenti della gestione Temer, frutto del golpe istituzionale contro Rousseff.

INASPRIMENTO delle pene, incremento dei delitti più gravi, durata dei processi giudiziari, abuso del carcere preventivo, assenza di misure alternative e di interventi strutturali su povertà e disuguaglianze, hanno elevato la popolazione carceraria a 548.000 persone: la quarta più numerosa al mondo, dietro Stati uniti, Russia e Cina. I reclusi vivono in condizioni sub-umane nelle strutture adatte a contenere solo 319.000 persone. In Brasile muore in media un detenuto al giorno.

TEMER ha parlato per la prima volta in pubblico dopo il massacro di Manaus, definendolo «un incidente pauroso», promettendo la costruzione di nuove carceri e stanziamenti per 1.200 milioni di reales (circa 366 milioni di dollari) da utilizzare anche per «modernizzare» le prigioni esistenti. Dopo aver cercato di scaricare le responsabilità sulle «gestioni regionali» ha anche promesso di attivare maggiori controlli alle frontiere e annunciato che, nonostante la crisi, continuerà sulla via delle riforme strutturali.