Quando in televisione è cominciata la sfilata di commentatori e soprattutto di ex calciatori, la sensazione è che nessuno davvero, pure realizzando che qualcosa di enorme era appena accaduto, avesse capito l’entità del disastro, la portata dell’evento. Perché un passo falso del genere nessuno se lo poteva realmente aspettare. In Brasile si è portati a essere sempre ottimisti quando si parla di seleção. Chi veste la maglia della nazionale è considerato speciale, quasi per diritto divino. È il sogno di tutti indossarla.

Il maledetto giorno della semifinale per le strade di Rio, indistintamente dall’età e dal sesso, si vestiva solo quella maglietta. Verdeoro ovunque. Le aspettative erano tali che mai i brasiliani potevano presagire quanto accaduto. Così chi in questi mesi non ha lesinato commenti e supporto alla squadra, come la stessa presidente Dilma Roussef, da ieri è entrato in un assordante silenzio. Si aspettano a ore le sue prime dichiarazioni dopo quella che non è solo la sconfitta di una squadra ma di un intero sistema calcistico. Per ora, però, alla nazione è arrivato solo un tweet presidenziale: «Mi dispiace immensamente per tutti noi, per i tifosi, per i giocatori, ma non dobbiamo abbatterci».

Come è possibile che il Brasile che sfornava craque a ripetizione oggi non riesca a esprimere se non giocatori di buono o medio livello? Se in Sudafrica si era scaricata la colpa su Felipe Melo, il capro espiatorio della spedizione del 2010, oggi la stessa operazione non si può proprio fare. A chi attribuire tutte le responsabilità? All’allenatore Felipe Scolari? Ai giocatori? Chi dei non convocati avrebbe potuto salvare la missione Coppa del Mondo? Nel tentare di dare una risposta a questi interrogativi, ci si rende conto che quanto accadrà nei prossimi giorni sarà decisivo per tante cose. La gerontocrazia militare che da sempre è padrona del calcio e dello sport in Brasile è per la prima volta nella condizione di accerchiamento. Non è ancora scattato l’attacco vero e proprio, ma si sente nell’aria.

Quando parlava di calcio negli ultimi tempi in cui era in vita, Socrates, non mascherando la sua delusione, aveva sovente criticato l’atteggiamento di Lula rispetto ai dirigenti del calcio nazionale. Non capiva perché Ricardo Teixeira, allora presidente della Federazione calcio brasiliana (Cbf), nonostante il passato fortemente «antidemocratico» e gli evidenti abusi compiuti durante la sua decennale gestione, non fosse messo in discussione dalla politica. Un po’ quello che Romario ha sostenuto in quest’ultimo anno a proposito della gestione di José Maria Marin, al vertice della Cbf dal 2012. Legato anch’egli ai militari e accusato di essere il mandante dell’uccisione del giornalista V. Herzog nel 1974. Non è affatto un personaggio popolare in Brasile; è bersaglio dei manifestanti che in questi mesi hanno portato le vertenze sociali in piazza. Criticità che adesso sembrano essere tornate sul tavolo della discussione. Non ancora in maniera esplicita perché il giorno dopo l’1 a 7 si vive come in un limbo, ma la sensazione, anche solo seguendo gli account sui social network delle realtà di movimento, è che qualcosa stia ricominciando a muoversi. Per domenica prossima ci sono diversi appuntamenti in programma, in diverse città.

Domenica è il giorno della finale, avrebbe dovuto esserci la seleção per quel diritto divino di cui sopra. Mancando invece la squadra nazionale e soprattutto, dopo quanto è accaduto allo stadio Mineirão di Belo Horizonte, che già ci si è affrettati a ribattezzare Mineiraço, quasi a sostituire la ferita del campionato del mondo del 1950, tutto può accadere. Anche perché durante e dopo la partita tra razzi e fuochi d’artificio sparati quasi per esorcizzare quella che è una vera e propria onta, nelle favela di Rio non solo si ricominciava ad accusare i politici degli sprechi e del resto, ma ci si sentiva fortemente offesi perché messi alla… berlina di fronte a tutto il mondo.

Chi scrive si trovava a Vidigal, favela a sud di Rio de Janeiro, durante la semifinale. Una giornata di piogge torrenziali con disagi in tutta la città. I luoghi solitamente adibiti alla visione collettiva del match erano quasi vuoti a causa del maltempo. Per le strade e nei bar meno gente che nelle altre occasioni. In tanti, rimasti bloccati nel traffico, non sono riusciti a rientrare nelle case in tempo per l’inizio della partita. Visto quanto è durato l’equilibrio tra le due squadre, chi ha poi raggiunto uno schermo per la visione collettiva della partita, è arrivato a cose irrimediabilmente fatte. Mentre fiumi d’acqua invadevano le strade proprio quando la formazione di Scolari mostrava tutti i suoi limiti. Qualcuno scherzando ha detto che la pioggia non era altro che lacrime dei calciatori della seleção. Pioverà ancora, di sicuro.