Brexit is (hard) Brexit. Niente permanenza nel mercato unico europeo per la Gran Bretagna: significherebbe continuare a soggiacere all’affronto di sovranità rappresentato dalla giurisdizione della Corte europea di giustizia su quelle nazionali e soprattutto il mancato controllo dell’immigrazione, i due vessilli più sventolati dai propagandisti del Leave. In altre parole: equivarrebbe a restare nell’Ue, contravvenendo in modo imperdonabile al mandato referendario espresso dagli elettori. Al suo posto, una negoziazione commerciale caso per caso: «Non cerchiamo iscrizione al mercato unico ma l’accesso ad esso più ampio possibile», ha detto la premier, alludendo alla possibilità che il paese versi un «contributo appropriato» per mantenere l’accesso al mercato unico. Ma ha anche aggiunto che i giorni in cui il Regno Unito «paga quotidianamente vaste somme di denaro all’Ue» finiranno quando, appunto, questo sarà fuori del mercato unico.

Per quanto riguarda l’unione doganale, May ha detto che vuole una Gran Bretagna in grado di negoziare accordi commerciali con paesi di tutto il mondo, ma desidererebbe anche che il commercio oltreconfine con l’Ue fosse il più libero e scorrevole possibile. Il Regno non vuole sentirsi legato a una politica commerciale o a una tariffa esterna comuni, elementi chiavi dell’attuale unione doganale, ma cercherà appunto di stipulare accordi su misura con l’Ue. Poi l’ultimatum, questo sì in salsa thatcheriana, agli altri leader europei: il paese vuole buoni rapporti con l’Ue, ma se quest’ultima tenesse un atteggiamento punitivo nei negoziati sarebbe «un atto di calamitoso autolesionismo» e non un comportamento amichevole. «Un cattivo accordo» sarebbe per il paese «peggio di nessun accordo». Infine, un riferimento ai recenti appelli alla Corte suprema, il cui prossimo verdetto si prevede avverso al governo: il parlamento britannico avrà diritto di voto sull’accordo finale della Brexit quando questo sarà definito. Quanto ai diritti dei cittadini Ue nel paese, May si è detta intenzionata a garantirli qualora ci sia la stessa volontà da parte degli altri paesi europei nei riguardi dei cittadini britannici in Europa. Mentre Scozia, Galles e Irlanda del Nord dovranno essere coinvolte nella procedura e nei piani per l’uscita.

Dopo mesi e mesi di sfibranti illazioni, analisi, predizioni, la premier ha dunque parlato. Proprio a Lancaster House, la sede dove molti anni prima Margaret Thatcher, cui viene paragonata immancabilmente e talvolta fuori luogo, aveva cantato le lodi del mercato unico europeo. Dove invece Theresa, la tiepida remainer che il terremoto del referendum ha trasformata in fervente leaver, ha tenuto il suo atteso e muscolare discorso. Calibrato soprattutto in modo da non scontentare la destra del suo partito e l’Ukip, almeno a giudicare dall’enfasi attribuita al controllo dell’immigrazione. E non immune da una residuale grandeur tardoimperiale che dipinge fin troppo autoindulgenti scenari agli ideologi dell’ultraliberismo, nelle cui vele tutto sommato sgonfie gli sviluppi recenti della politica britannica hanno soffiato nuova energia. Un discorso, insomma, dove riemergono gli elementi di eccezionalità che galleggiano da tempo nell’autorappresentazione nazionale. Il Regno Unito è «un paese unico con un una storia e una cultura politica uniche, dove non c’è una forte tradizione di governi di coalizione», una frecciata alla lentezza dei vicini europei che hanno sistemi elettorali tutto sommato più democratici. Se la Gran Bretagna è vista come un membro «a disagio» del consesso europeo, ciò è da leggersi come una reazione all’inflessibilità e rigidità dell’Ue. Il tentativo di rinegoziazione di David Cameron è stato l’ultimo coraggioso sforzo di riformare l’Ue dall’interno ma è fallito, ha aggiunto May, mentre i rapporti fra Uk e Ue dopo la Brexit vedranno i cittadini Ue ancora «benvenuti» in Uk. La premier spera la cosa sarà ricambiata, mentre respinge con forza le illazioni secondo cui il paese potrebbe mantenere una partecipazione associata o parziale all’Ue, il paese «non può stare mezzo dentro e mezzo fuori». May vuole una «partnership nuova e costruttiva» basata su interessi condivisi e con la Gb che recupera la propria sovranità e autodeterminazione.

Il leader laburista Jeremy Corbyn ha accolto con freddezza il discorso: per lui, May vuole la botte piena e la moglie ubriaca. In attesa dell’imminente disvelamento della strategia del suo partito sulla Brexit, Corbyn ha riaffermato il proposito di sorvegliare l’operato del governo «passo dopo passo», mentre il presidente del Consiglio d’Europa, Donald Tusk, ha definito in un tweet «più realistici» gli annunci di May, dicendosi pronto a iniziare il negoziato dopo l’avvio dell’articolo 50, ancora fissato per marzo.