L’accordo raggiunto al summit europeo per risolvere la crisi greca rappresenta una negativa e preoccupante soluzione del difficile negoziato ripreso dopo il referendum promosso dal governo greco la scorsa settimana. Negativa e preoccupante per più ragioni, di merito e di metodo istituzionale.

Nelle riforme che si vorrebbero imporre ai greci è evidente la riconferma e il peggioramento delle politiche del rigore, senza neppure il vago tentativo di sollecitare una crescita in grado di attenuare le già gravi sofferenze a quella popolazione. Non solo: alle istituzioni greche viene imposto un calendario assurdo e ridicolo, accompagnato da dettagli di merito sui singoli capitoli di riforma da affrontare che ne stravolgono oggettivamente il loro ruolo e ne cancellano l’autonomia. Il quadro complessivo dell’accordo è così definito dalla conferma della politica del rigore e dall’imposizione delle regole restrittive e insensate. Molti dei dettagli sulle politiche ritenute vincolanti dall’Eurogruppo sono irrilevanti per le dinamiche economiche, ma potenzialmente devastanti per quelle sociali.

Non esiste dubbio sulle responsabilità passate dei governi greci e sulla necessità di cambiamento, lo ha riconosciuto più volte lo stesso Tsipras. Tuttavia la sensazione netta è che quanto imposto non sia funzionale a un cambiamento positivo ma che abbiano prevalso una volontà punitiva (ancor più forte dopo il referendum) e l’obiettivo, certo non dichiarato ma praticato, di favorire la sostituzione della guida politica del governo greco.

A questo si aggiunge la negazione di qualsiasi azione certa per rinegoziare il debito e le sue dinamiche di contenimento. E il quadro si completa.

L’impuntatura tedesca degli ultimi giorni ha fatto mutare il largo giudizio positivo sulle proposte del governo greco e ha condizionato l’intero Eurogruppo mettendo a repentaglio la tenuta della zona Euro. Questo a conferma della necessità, non più rinviabile, di un cambiamento profondo dei trattati in senso democratico e federale per superare la pratica dei veti e dei blocchi dettati dagli egoismi nazionali su decisioni vitali per l’Europa.

È grave il silenzio e l’accondiscendenza a questa conclusione da parte della famiglia socialista. Con l’eccezione in positivo del tentativo di Hollande di condurre la soluzione a un approdo equo e in negativo di Gabriel che ha assunto posizioni ancor più moderate di quelle della Cancelliera Merkel, i governi a guida socialista (ovviamente compreso quello italiano) si sono adagiati sulla “linea tedesca” senza svolgere il ruolo che potevano avere.

È stata buttata al vento un’occasione. Non si può guardare con fiducia al futuro dell’Europa senza trasformarla in una dimensione federata e solidale. Il sacrificio della Grecia, qualunque sia la decisione finale di un popolo stremato, avvicina e non allontana l’acutizzarsi della crisi delle istituzioni europee.