Al governo italiano piacciono le idee strampalate, basta che suonino come nuove, come pacchi ancora da scartare di cui non si conosce il contenuto. Così, se al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni – riunito l’altro giorno con i suoi omologhi europei a Villa Madama – non dispiace l’idea di un’Europa a due velocità sia sull’adesione allo spazio Schengen sia sull’euro, ieri la collega Daniela Pinotti, partecipando al vertice dell’Alleanza Atlantica a Bruxelles, si è detta entusiasta del coinvolgimento della Nato nelle operazioni di controllo dei flussi di migranti nel Mediterraneo. Tanto, alla fine, entrambe queste brillanti idee riguardano la Grecia, non l’Italia. Almeno per ora.

La richiesta di schierare navi e soldati della Nato per pattugliare in particolare il mar Egeo, cioè la frontiera tra Turchia e Grecia, è partita lunedì dai governi di Berlino e di Ankara. Atene è rimasta perplessa, verrebbe da dire basita, colpita giusto ieri, insieme all’Italia, dalla reprimenda dell’Unione europea per non aver fatto abbastanza per attuare l’Action plan europeo sui migranti, sulla militarizzazione delle sue coste e delle sue spiagge non ha detto né sì né no. Pinotti invece, dopo aver sfilato tutta contenta tra i generali con la sua mantellina blu, ha addirittura chiesto agli Stati maggiori dell’Alleanza di spostare la vecchia operazione navale Active Endeavour, nata con funzioni anti-terrorismo dopo l’11 settembre, più vicino alle nostre coste. Non solo.

Per la ministra della Difesa sotto l’ombrello Nato «si tratta di ragionare per armonizzare e rendere coerenti le varie operazioni e gli strumenti» in modo che «siano più efficaci», mettendo assieme EunavForMed, la missione europea per la lotta ai trafficanti, e Frontex (rendendola l’agenzia di controllo delle frontiere esterne ancor più militarizzata).

L’Italia non esce tanto malconcia dal rapporto della Commissione Junker sui progressi e le lacune nell’implementazione delle misure europee per gestire i flussi di rifugiati e migranti. Bocciata solo sui costosi rimpatri – 14 mila, si calcola, nel 2015 a fronte di 160 mila che avrebbero dovuto essere – e sui soggiornanti di lungo periodo, i rifugiati a pieno titolo, ancora privi di residenza permanente e misure di protezione che ne favoriscano l’integrazione (su questo aspetto per Roma scatterà una nuova procedura d’infrazione se non ci si mette in regola entro due mesi, cosa assai poco probabile). La Commissione però nella sua pagella ci promuove con una sufficienza scarsa sugli hot spot e a pieni voti sul rilevamento delle impronte digitali (passato dal 36 all’87 per cento, con il 100% negli hot spot già in funzione).

è vero che di queste strutture attualmente sono a pieno regime solo due su sei (Lampedusa e Pozzallo) ma a Taranto i lavori procedono «d’urgenza» e si conta che prima dell’estate saranno terminati anche i cantieri di Augusta e Porto Empedocle. Come funzionino e se siano rispettati trattati e convenzioni per i rifugiuati alla Commissione non sembra interessare più di tanto. L’obiettivo della Ue è introdurre il meccanismo no registration no rights per poi, quando «il flusso sarà tornato ad essere gestito ordinatamente», ripristinare la convenzione di Dublino. Così è scritto, nero su bianco, e il governo italiano non ha detto niente per rivedere, almeno l’insidiosa regola che responsabilizza solo il paese dove si presenta la domanda di asilo.

La realtà è che l’Italia finora è stata interessata marginalmente – rispetto alla Grecia – dalle rotte migratorie. L’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim) stima che meno di 6 mila siano stati gli arrivi sulle coste italiane nelle prime sei settimane dell’anno, più di dieci volte meno che in Grecia, dove gli sbarchi sono stati 70.365, con 319 morti. Per l’Italia i compiti a casa riguardano i preparativi per giugno, quando con la bella stagione, le rotte potrebbero affollarsi e anche cambiare, secondo quanto teme anche l’Unhcr.

Entro quella data nel programma dell’Ue dovrebbe essere attivata la nuova Guardia costiera europea per la tutela delle frontiere esterne. Se quattro mesi non dovessero bastare – alquanto probabile -, e considerando la polveriera libica, ecco pronti i soldati Nato.