La città di Bruxelles, sede delle istituzioni europee, della Nato e capitale del Belgio, è nota nelle cronache internazionali per i diktat della Commissione europea e per l’imposizione delle misure di austerità agli Stati membri. In pochi però conoscono la storia rivoluzionaria della città, luogo di rifugio di politici e attivisti perseguitati nei paesi d’origine. Marx e Engels vi scrivono il «Manifesto del partito comunista». Lenin impone la visione bolscevica al partito socialdemocratico russo. Comunisti e anarchici vi trovano rifugio nel corso del ‘900. Questa storia è stata minuziosamente raccolta in un libro «Le Bruxelles des révolutionnaires, de 1830 à nous jours» (CFC éditions, pp. 303 , euro 40) edito in lingua francese dalla storica di fama internazionale Anne Morelli. Intervistata da «Il Manifesto», l’autrice sottolinea la volontà di restituire al grande pubblico «una nuova immagine di Bruxelles, non solo come la città dei funzionari e della burocrazia, ma anche come una città ribelle».
Una storia che parte dalla nascita dello Stato belga (siamo nel 1830) «il quale grazie ad una costituzione liberale ancora oggi presente nella topografia della città, nel nome delle vie che riecheggiano le libertà fondamentali di culto, di stampa e d’associazione, ha favorito l’accoglienza di rivoluzionari stranieri» sottolinea Morelli. Bruxelles a cavallo fra XIX e XX secolo accoglie numerosi rifugiati politici. Fra questi il passaggio più noto è sicuramente quello di Karl Marx (1845-48) che proprio qui, insieme al filosofo tedesco Frederich Engels, redige il «Manifesto del partito comunista», prima di essere espulso a causa della sua attività politica. L’atteggiamento dello Stato belga è infatti ambiguo nei confronti dei rifugiati politici, fra la volontà di garantire l’accoglienza e la necessità di non compromettere le relazioni diplomatiche. «Il diritto d’asilo è spesso concesso in cambio della cessazione di ogni attività politica attiva» ribadisce la storica Morelli. Victor Hugo vi trova rifugio nel 1850 prima di essere espulso per aver offerto ospitalità ai militanti della Comune di Parigi, perseguitati nella vicina Francia. Il caso dei due anarchici spagnoli Ascaso e Durruti è altrettanto significativo. Ricercati dalle polizie di Spagna, Francia e Argentina per attacchi a mano armata, essi trovano rifugio a Bruxelles, incredibilmente coperti dall’anonimato dalla polizia belga prima di lasciare il paese per partecipare alla guerra civile spagnola del ’36.
La presenza dei rivoluzionari è testimoniata dalle targhe cittadine che ancora oggi ne evocano il passaggio, nutrendo l’immaginario delle generazioni successive. Nella metà del secolo scorso i militanti comunisti amavano darsi appuntamento in uno dei bar frequentato da Lenin nella centralissima Grande-Place e per questo battezzato «Il piccolo Lenin». Ed è proprio a Bruxelles che Lenin ottiene una delle più importanti vittorie politiche, acquisendo la maggioranza del (clandestino) Partito operaio socialdemocratico russo e sancendo la divisione fra bolscevichi e menscevichi.
La presenza di rifugiati comunisti e anarchici negli anni ’20 e ’30 è talmente importante che molte delle polizie dei regimi fascisti sono presenti nella capitale belga per sorvegliare potenziali cospiratori. Ed è proprio nella Molenbeek di quegli anni, quartiere operaio dove si incontrano i rivoluzionari di mezza Europa che prende forma uno dei più dinamici movimenti operai e sindacalisti d’Europa. Nella seconda metà del Novecento la «battaglia delle Marolles», quartiere popolare nel cuore della città salvato dalla speculazione edilizia, segna un punto di svolta nelle lotte cittadine locali ispirando i successivi movimenti artistici di contestazione politica. A partire dagli anni ’60, Bruxelles è sconvolta dai grandi cambiamenti urbanistici che ne stravolgono il tessuto urbano e sociale. In particolare la costruzione del quartiere europeo, sede delle istituzioni comunitarie, contribuisce alla distruzione di una parte importante del patrimonio architettonico della città. «Oggi Bruxelles è il frutto di questa storia che possiamo trovare nei nomi dei luoghi pubblici, non ultima una delle sale comunali è stata recentemente intitolata agli anarchici italiani Sacco e Vanzetti, ma anche nei movimenti locali di contestazione agli stravolgimenti urbanistici, nelle occupazione di squat e nelle manifestazioni che animano Bruxelles come capitale dell’Europa», sottolinea la storica d’origine italiana Anne Morelli, restituendo alla città di Bruxelles un’immagine inedita, in parte cancellata dall’ingombrante presenza delle Istituzioni europee.