Ieri la stazione Keleti (Orientale) di Budapest è stata chiusa per un’ora, il tempo di disperdere i migranti che si erano accalcati in cerca di un treno per poter finalmente proseguire il loro viaggio verso Ovest. La piazza davanti alla stazione è stata sgomberata dalla polizia con i lacrimogeni e nemmeno dopo la riapertura dello scalo ai migranti è stata data la possibilità di rientrare e avvicinarsi ai binari nella speranza di acchiappare quel famoso treno verso una vita nuova.
L’impossibilità per molti di partire ha fatto crescere la tensione e reso pressoché sistematiche le manifestazioni di protesta. «Germania! Germania!», scandiscono a voce alta i migranti invocando quella che è una delle mete più ambite dalla maggior parte di loro. E ancora: «Lasciateci partire! Siamo siriani!» in riferimento alla dichiarazione con cui Angela Merkel avrebbe definito necessaria una maggiore elasticità nei confronti dei migranti siriani, appunto, anche se illegali. E gli interessati chiedono di prendere un treno per la Germania senza registrazione, forti delle dichiarazioni della cancelliera. Vogliono partire anche se le regole vigenti dicono che, una volta registrati in Ungheria, devono aspettare in un centro di accoglienza l’ottenimento dello status di rifugiati, e la cosa è tutt’altro che automatica.

Intervenendo ieri in parlamento il vice primo ministro ungherese János Lázár ha accusato la Merkel di aver contribuito in modo determinante al caos creatosi alla Keleti. In una nota stampa diffusa il giorno prima il governo di Budapest attribuiva alla cancelliera la responsabilità di aver incoraggiato false aspettative fra i migranti illegali presenti nello Stato danubiano e chiedeva alle autorità tedesche spiegazioni.

Nel corso di una conferenza stampa a Berlino con Mariano Rajoy l’accusata ha risposto di non vedere alcuna corresponsabilità in quanto sta accadendo in Ungheria e che in Europa il regolamento di Dublino è ancora valido anche se le autorità tedesche hanno fatto sapere che non manderanno indietro i siriani in viaggio verso il paese.

Ultimamente, secondo il portavoce del presidio della polizia federale di Potsdam, un numero compreso fra 2000 e 2200 migranti provenienti da Budapest ha raggiunto Monaco di Baviera. I richiedenti asilo che finalmente sono arrivati a destinazione hanno fatto un passo avanti importante, almeno in teoria.

Chi invece è rimasto nella capitale ungherese si sente ancora in alto mare. Nel momento in cui scriviamo, nella piazza Baross, situata di fronte alla Keleti, migliaia di migranti si sono di nuovo riuniti per manifestare scandendo slogan – «Libertà!» e di nuovo «Germania» – e agitando le mani in aria.

Certo, tutte queste persone non sono venute in Europa per dormire sotto i ponti o affollare i sottopassaggi delle stazioni ferroviarie, ma per trovare una sistemazione degna e in qualche modo duratura.

Ieri, la chiusura della Keleti ha portato a prevedibili disagi sul piano della circolazione dei treni con notevoli ritardi su ogni tratta. La situazione continua ad essere delicata e tesa. L’emergenza è anche cittadina e non da ieri. Su ordine del sindaco di Budapest István Tarlos, il consiglio comunale ha istituito delle aree vicino alla stazione nelle quali i numerosi migranti accampati nei sottopassaggi possono ricevere acqua da bere e da usare per l’igiene personale. Contro l’allestimento di queste aree si è scagliata l’estrema destra.

I critici contestano le disposizioni date dal sindaco Tarlos e chiedono l’allontanamento dei migranti dalle zone centrali della capitale. E strati tutt’altro che irrilevanti della cittadinanza vedono nella presenza di queste persone in transito a Budapest un problema di igiene e di sicurezza pubblica.

Il governo ungherese da parte sua intende inasprire le regole contro l’immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani, soprattutto dopo il ritrovamento, in Austria, di un tir con 71 migranti morti per asfissia durante il viaggio. Cinque le persone arrestate, secondo fonti locali, nell’ambito dell’inchiesta istituita dopo l’episodio. Budapest afferma il suo coinvolgimento in prima linea nel fronteggiare il problema e per mezzo del ministro degli esteri Péter Szijjártó, protesta contro la dichiarazione del ministro francese Laurent Fabius che definisce scandalosa la politica adottata dall’esecutivo ungherese nei confronti dei migranti e condanna la barriera voluta dal governo Orbán al confine ungaro-serbo. Di fatto c’è chi la condanna anche in patria.

Mentre il ministro della difesa Csaba Hende ha annunciato ieri in parlamento l’invio al confine meridionale di 3.000-3.500 agenti che però, secondo le autorità ungheresi, non riceveranno l’ordine di sparare «per mandare via la gente».