Dopo tre tentativi falliti di salire sullo scranno più alto della Nigeria per via elettorale, il quarto assalto ha infine ripagato Muhammadu Buhari di tanta tenacia. Il candidato dell’All Progressives Congress (Apc), all’opposizione, ha staccato di quasi 3 milioni di voti il presidente uscente Goodluck Jonathan, candidato a un secondo mandato per il People’s Democratic Party (Pdp). Ma soprattutto ha superato la soglia del 50% a livello nazionale e ottenuto almeno il 25% dei consensi in due terzi dei 36 stati (più il distretto della capitale Abuja) che compongono la Repubblica federale della Nigeria, le due condizioni necessarie per evitare il ballottaggio. L’Apc ha così potuto annunciare la vittoria del suo candidato e – cosa ben più importante – Jonathan ha riconosciuto subito la sconfitta, chiamando l’avversario per congratularsi. Un bel secchio d’acqua sulle tensioni in agguato.

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Il nuovo presidente al voto nella sua Daura, nello stato di Katsina (foto LaPresse)

È la prima volta che un presidente in carica perde e che il Pdp non centra l’elezione del suo candidato dal 1999. Le consultazioni (presidenziali e legislative) verranno ricordate anche come le più costose della storia africana. Quelle in cui ha fatto il suo esordio la scheda elettorale elettronica, con tanti problemi registrati sabato scorso, giorno del voto, che hanno costretto molti seggi a restare aperti anche il giorno successivo. Sarà un caso, ma il partito di Buhari ha spinto per l’introduzione del nuovo sistema mentre quello di Jonathan era contrario. Buhari ha votato senza problemi e all’uscita dal seggio ha fiduciosamente parlato di un sistema a prova di brogli. Jonathan invece è dovuto tornare due volte al seggio perché la tessera non funzionava e alla fine il suo voto è stato registrato manualmente. All’uscita ha parlato di «grave imbarazzo nazionale».

L’esito è maturato soprattutto nelle diverse performance dei due sfidanti nelle rispettive roccaforti. Se Jonathan ha tenuto le posizioni negli stati del sud e tra l’elettorato cristiano, il suo sfidante ha stravinto anche lì dove aveva stentato o prevalso di poco nella precedente tornata elettorale del 2011. Nello stato di Kano, ad esempio Buhari ha ottenuto 1,7 milioni di voti più del rivale. E in quello di Kaduna, dove la volta scorsa c’era stato quasi un pareggio, la differenza a suo favore è stata di 650mila voti. Buhari inoltre ha vinto nella megalopoli Lagos, la capitale economica del paese.

Campagna elettorale in Nigeria (foto LaPresse)
Campagna elettorale in Nigeria (foto LaPresse)

Dopo il voto del 2011, contestato da Buhari, gli scontri esplosi tra cristiani e musulmani avevano lasciato sul terreno 800 morti e causato la fuga di almeno 50mila persone. Stavolta si temeva una contestazione a parti invertite, con Jonathan nella parte della vittima. Per gli osservatori internazionali il voto è stato regolare e i problemi tecnici non hanno penalizzato nessuno. Ma ancora lunedì aggiungevano che la fase più delicata è quella del conteggio riassuntivo, con il rischio di «interferenze politiche». Come quelle puntualmente denunciate ieri da un membro del Pdp, l’ex ministro Godsday Orubebe, che snervato dai ritardi con cui venicano comunicati i risultati, annunciati per le 10 e arrivati solo in serata, ha attaccato il capo della commissione elettorale Attahiru Jega, accusandolo di parzialità.

Ma certo la mossa distensiva di Jonathan, ancorché figlia dell’accordo siglato dai due candidati alla vigilia, con l’impegno preciso di non fomentare violenze recriminatorie all’indomani del voto, apre scenari molto meno drammatici di quelli fin qui temuti. Il passaggio da un presidente cristiano a uno musulmano è certo un bel cambio di prospettive per il gigante nigeriano, prima economia e paese più popoloso d’Africa con i suoi oltre 175 milioni di abitanti. Buhari ha vinto grazie a una campagna elettorale giocata all’attacco, puntando il dito contro la corruzione della classe politica e intercettando lo scontento popolare per le negligenze del governo nel fronteggiare l’emergenza jihadista di Boko Haram.

72 anni, di origini fulani, il nuovo presidente nigeriano è in realtà un born again democrat, un «convertito alla democrazia», come preferisce definirsi lui. Espressione delle élite militari e musulmane, da generale golpista ha già guidato il paese dal 1983 al 1985 e il suo regime è stato uno dei più repressivi, liberticidi e anche corrotti della storia nigeriana, tanto che ancora oggi il termine buharismo è sinonimo di fascismo. In tempi più recenti si è dato da fare per implementare l’instaurazione della sharia negli stati del nord e rispetto a Boko Haram ha avuto a lungo un atteggiamento a dir poco ambiguo. Auguri, Nigeria.