Alcuni coltivatori burkinabè hanno riferito a un reporter di France 2 che i loro raccolti di cotone sono soddisfacenti in quantità e qualità, dopo la rinuncia di massa alle sementi geneticamente modificate di Monsanto.

La multinazionale era sbarcata in Burkina Faso all’epoca del presidente Blaise Compaoré – cacciato dalla rivoluzione popolare nell’ottobre 2014. Il paese, molto povero, grande esportatore di cotone, aveva riposto molte speranze nelle sementi Ogm: rese più elevate, maggiore resistenza ai parassiti e dunque meno trattamenti e meno lavoro, più guadagni.

Da parte sua, Monsanto voleva fare del Burkina una vetrina per l’Africa – anche se alcuni genetisti locali si preoccupavano dei possibili danni per la salute derivanti dal consumo dell’olio di cotone Gm. Così l’80% dei campi erano stati alla fine seminati con le sementi Bollgard II, più resistenti al verme del cotone.

Ma in pochi anni il sogno si è scontrato con l’insuccesso economico. Come mai? Se il clima non ha aiutato, le ragioni del fallimento dipendono proprio dal seme. La fibra si è rivelata di qualità inferiore, più corta: così l’oro bianco del Burkina che sul mercato internazionale era di gamma medio-alta, si è trovato declassato al livello della fibra pakistana. La Sofitex, una delle principali compagnie cotoniere del paese, ha stimato le perdite in 20-30 franchi Cfa per libbra di cotone. Emaku Diaba, uno dei primi coltivatori a dire no al cotone Gm due anni fa, ha spiegato ai reporter che le autorità del Burkina avrebbero dovuto testare bene la novità, prima di applicarla massicciamente.

Monsanto si era impegnata a migliorare le sementi, ma senza risultati. Così, dopo qualche anno di delusione, l’Associazione interprofessionale del cotone del Burkina (Aicb) ha deciso di sospendere la coltura del cotone Gm; la maggioranza dei campi sono tornati ai semi tradizionali.

Ma i cotonicoltori non sono certo passati alle colture biologiche e il convenzionale richiede trattamenti e lavoro. Inoltre la richiesta di risarcimento – per circa 74 milioni di euro – da parte di Aicb a Monsanto non ha avuto finora seguito. Inoltre, se gli ambientalisti speravano che il divorzio del Burkina Faso da Monsanto (momentaneo, secondo la Sofitex…) avrebbe fatto scuola in Africa, sono rimasti delusi.
Soprattutto, rimane il vizio di fondo: l’esportazione della materia prima tal quale, con il regalo all’estero di gran parte del valore aggiunto.

Un retaggio coloniale che il presidente rivoluzionario Thomas Sankara aveva cercato di superare, nel suo periodo troppo breve alla guida del Burkina Faso.