L’interruzione, da parte di alcuni soldati della guardia presidenziale, della riunione del consiglio dei ministri di mercoledì assomigliava ad altri episodi di ammutinamento che hanno caratterizzato gli ultimi mesi della transizione politica in Burkina Faso, tutti risoltisi nel giro di poche ore. Si è invece trasformata in un «classico» scenario da colpo di stato, con la detenzione prolungata del presidente e di alcuni ministri, l’interruzione delle trasmissioni tv, e infine l’annuncio, nella mattinata di ieri, della sospensione del governo.

Come si è arrivati a un simile punto di rottura? La questione irrisolta del rapporto tra forze armate e autorità civili perdura almeno dall’insurrezione dello scorso ottobre. In particolare, il ruolo del Reggimento di sicurezza presidenziale (Rsp), un corpo d’élite a lungo considerato feudo di fedelissimi dell’ex-presidente Blaise Compaoré, ha surriscaldato il dibattito interno. L’ipotesi di un suo smantellamento, rivendicata a gran voce dagli attivisti e suggerita qualche giorno fa persino dalla Commissione per la riconciliazione nazionale, è stata sempre trattata con grande cautela dal governo di transizione, timoroso di una reazione eversiva.

La parabola del primo ministro Isaac Zida è un esempio delle contorsioni del rapporto tra potere civile e potere militare: ex-numero due del Rsp, ha assunto le funzioni di capo dello stato poche ore dopo le dimissioni di Blaise ma sposando una linea di rottura nei confronti del regime deposto. Da primo ministro è entrato in conflitto con il corpo militare da cui proveniva, per ragioni non sempre chiare: a più riprese dal mese di dicembre, gruppi «ribelli» di soldati hanno inscenato proteste plateali chiedendo le sue dimissioni. La stampa locale ha imputato tale conflitto ai timori di ridimensionamento del ruolo – e degli stipendi – del Rsp, alle polemiche sorte in seguito ad alcune nomine controverse, o a tensioni preesistenti nell’esercito, che il ruolo pubblico assunto da Zida avrebbe fatto precipitare.

Finora il presidente Kafando era riuscito a mediare e a rassicurare gli ufficiali più riottosi, arrivando due mesi fa a ritirare a Zida la gestione della difesa nazionale. Questa volta, i tentativi di negoziazione non sono bastati. Anche l’imminente scadenza elettorale dell’11 ottobre ha alimentato le tensioni. Ad aprile, il parlamento transitorio aveva approvato un nuovo codice elettorale che, senza escludere formalmente i partiti dell’ex-maggioranza dalla competizione, vietava le candidature di personalità che avessero apertamente sostenuto i progetti di riforma costituzionale attraverso cui Blaise cercò di mantenersi al potere. Nonostante una sentenza della corte di giustizia della Cedeao (Comunità economica dell’Africa Occidentale), che criticava il carattere discriminatorio della nuova legislazione, nelle ultime settimane il consiglio costituzionale burkinabé ha proceduto a escludere dalla corsa elettorale diversi candidati, i quali avevano risposto con un appello al boicottaggio delle elezioni.

È ancora difficile valutare la reale implicazione dei politici nell’organizzazione del colpo di stato. Ieri pomeriggio, comunque, la guida del gruppo di golpisti è stata assunta da Gilbert Diendéré, capo del Rsp deposto pacificamente alcuni mesi fa, considerato da sempre il braccio destro di Blaise Compaoré – che è sempre in esilio, tra Marocco e Costa d’Avorio – oltre che l’esecutore delle sue politiche più repressive. Nei prossimi giorni ne sapremo di più su quanto il sostegno del vecchio regime conti e abbia contato in questa svolta autoritaria.

L’incubo di un ritorno al passato si è improvvisamente materializzatoi davanti agli occhi dei burkinabé. Tuttavia, in quest’ultimo anno, alcuni reali progressi erano stati compiuti. Con molta cautela, il dibattito sui crimini impuniti del passato regime è stato riaperto; il pluralismo dei media si è consolidato; i rappresentanti delle ex-opposizioni politiche e dei movimenti hanno guadagnato visibilità e capacità di mobilitazione.

Un’interruzione così brutale del processo democratico sarebbe impossibile da sostenere per le organizzazioni internazionali e le cancellerie straniere, incluse quelle che più hanno appoggiato in passato il regime Compaoré. Ammesso che riesca a mantenersi al potere, il gruppo di golpisti incontrerà notevoli resistenze.